Appalti affidati senza gara: Cantone boccia Picchione

L’operato dell’ex soprintendente regionale non passa l’esame dell’Anticorruzione. «Irregolarità e zone d’ombra saranno segnalate alla Procura della Corte dei conti»
Maria Giulia Picchione
Maria Giulia Picchione

TRIESTE. Non si è curata abbastanza dei “comandamenti” della concorrenza e della trasparenza amministrativa. E con le sue decisioni, censurate per l’appunto nel merito ma anche nel metodo (là dove ha prospettato una fretta poi smentita da tempistiche d’intervento non altrettanto rapide), ha messo indirettamente a nudo una serie di cose fatte male o meglio non fatte (come alcune manutenzioni strutturali già inserite in precedenti piani di cantiere e trasformate alla fine in opere straordinarie di massima urgenza) anche da chi era venuto prima di lei. L’Anticorruzione di Raffaele Cantone sistema una pietra sopra l’operato, più corretto è dire sopra una precisa parte di esso, attribuito a Maria Giulia Picchione quand’era soprintendente ai Beni architettonici e paesaggistici del Friuli Venezia Giulia.

A un anno dalla comunicazione di chiusura dell’istruttoria da parte dell’Ufficio vigilanza lavori dell’Authority, che allora presupponeva la possibilità per Picchione di replicare con delle controdeduzioni più un’eventuale audizione in prima persona, ora infatti arriva la delibera finale del Consiglio della stessa Autorità nazionale, che boccia in sostanza il modo in cui l’ex soprintendente assegnò tra fine 2012 e fine 2013 a una sola ditta specializzata in interventi di restauro monumentale (la Lepsa Srl di Roma) ben quattro opere per quasi un milione di denaro pubblico: un paio sulle mura di Palmanova, una terza sul tetto di Palazzo Clabassi, sede udienese della Soprintendenza e una quarta per la manutenzione straordinaria di Casa Bartoli di Aquileia. E i rilievi sono tali che, nell’ultimo punto di tale provvedimento, è previsto letteralmente «di mandare la segnalazione del caso alla Procura regionale della Corte dei conti».

Caso Picchione: «Appalti senza gara. Va sospesa dal servizio»
Maria Giulia Picchione

Il cuore dell’istruttoria, nata da una segnalazione del 2014 da parte dell’Ance Fvg, l’Assocostruttori del Friuli Venezia Giulia, a quel tempo per la cronaca sugli scudi per l’asserita rigidità di Picchione sui permessi edilizi soggetti al giudizio delle Belle Arti, pulsa attorno al concetto ormai famoso della cosiddetta «somma urgenza», ovvero all’opportunità normativa di derogare dalle selezioni pubbliche di prassi e di individuare d’imperio l’appaltatore ideale per risolvere un problema che non può aspettare: un problema che, nei casi qui contestati a Picchione, si chiamava sicurezza, «pubblica incolumità». Opportunità normativa - si legge in particolare nella delibera dell’Anticorruzione firmata dal presidente Cantone a marzo - cui è mancata «nel caso di specie» una «corretta applicazione», «sottraendo degli affidamenti ad un confronto competitivo».

«Per giurisprudenza ormai consolidata - aggiunge la delibera - è infatti illegittimo il ricorso a tale procedura nel caso in cui l’urgenza sia sopravvenuta per comportamento colpevole dell’amministrazione, la quale, pur potendo prevedere l’evento, non ne abbia tuttavia tenuto conto al fine di valutare i tempi tecnici necessari alla realizzazione del proprio intervento». Ma, al di là di quella che è una censura rispetto a una sorta di abuso del ricorso alla «massima urgenza» per opere programmate da tempo (e talvolta non realizzate, a dirla tutta, di chi era venuto prima di Picchione), il provvedimento dell’Authority di Cantone muove un ulteriore rilievo: quello secondo cui determinate dichiarazioni di «somma urgenza» non sono state poi corroborate dalla celerità dell’intervento invocato appunto come urgente e non differibile.

«La circostanza - recita la delibera - che i lavori sono stati realizzati spesso con tempi molto posticipati rispetto alla dichiarazione di somma urgenza porta a ritenere che non ricorreva l’eccezionale situazione di pregiudizio per la pubblica incolumità e, pertanto, la Soprintendenza sarebbe potuta intervenire solo per opere provvisionali o comunque indispensabili al momento, rinviando a una fase successiva l’affidamento urgente mediante confronto concorrenziale». Morale: «sono stati violati, nei casi in esame, i principi della libera concorrenza, parità di trattamento e rotazione». Se non di una sola ditta, pur competente e di fiducia, evidentemente, ruotata di fatto su se stessa.

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