Allarme riciclaggio: Trieste quinta in Italia
TRIESTE La criminalità organizzata allunga le mani sulle piccole e medie imprese di Trieste, al quinto posto tra le province italiane per numero di operazioni di possibile riciclaggio. I dati, sul 2019, emergono dall’Unità di informazione finanziaria di Banca d’Italia e sono stati rielaborati dall’Ufficio studi della Cgia.
Il tema è quello delle operazioni economico-finanziarie sospette “denunciate” alla Uif da parte degli intermediari (istituti di credito, uffici postali, notai, commercialisti, gestori di sale giochi, società finanziarie, assicurazioni) tra bonifici nazionali, money transfer e transazioni avvenute in contanti.
Sono 553 le segnalazioni che riguardano Trieste, un incremento del 20,5% sulle 459 del 2018. Per costruire la classifica, la Cgia usa il criterio dell’incidenza sul numero degli abitanti: le quasi 236 segnalazioni ogni 100 mila residenti (la media nazionale è di 175,3) valgono appunto a Trieste il quinto posto dietro a Prato (344,6), Milano (337,1), Imperia (275,9) e Napoli (270,7). La provincia di Gorizia compare all’ottantottesimo posto (156 segnalazioni nel 2019, cinque in più dell’anno precedente), ben dietro anche a Pordenone (undicesima) e alle spalle di Udine (settantanovesima). Le province la cui economia è meno investita dalla criminalità organizzata sono L’Aquila (76,9), Chieti (75), Nuoro (46,5) e il Sud Sardegna (45,9).
La vicenda scoppiata a fine 2017, vale a dire la compravendita della Depositi Costieri Trieste, aveva confermato i timori sulle infiltrazioni di attività criminali anche in città. Dopo il report della Dia sul primo semestre 2019, pure il coordinatore dell’Osservatorio regionale Antimafia Michele Penta ha recentemente registrato «un sempre più incisivo coinvolgimento nel territorio di attività criminali di stampo mafioso provenienti dal confinante Veneto, dove è maggiormente radicata la presenza delle consorterie», in riferimento agli interessi diffusi di ’Ndrangheta, Camorra, Sacra corona: dagli appalti al traffico di armi e droga, dagli investimenti in porto e nelle grandi opere fino alla prostituzione.
L’allarme lanciato dalla Cgia entra in un contesto in cui all’Uif di Bankitalia sono state segnalate l’anno scorso oltre105 mila operazioni sospette di riciclaggio (erano state 98 mila nel 2018), una quota mai toccata prima. Si tratta in sostanza dei presunti illeciti compiuti in massima parte da organizzazioni criminali che cercano di reinvestire in aziende o settori “puliti” i proventi economici derivanti da operazioni illegali. Secondo una stima dell’Ufficio studi mestrino, il fatturato ascrivibile all’economia criminale ammonta a circa 170 miliardi di euro all’anno, un valore pari al Pil della Grecia e che nemmeno include i proventi economici provenienti da reati violenti – come furti, rapine, usura ed estorsioni –, spiega il coordinatore Cgia Paolo Zabeo, ma solo le transazioni illecite caratterizzate dall’accordo tra un venditore e l’acquirente, come ad esempio il contrabbando, il traffico di armi, le scommesse clandestine, lo smaltimento illegale dei rifiuti, il gioco d’azzardo, la ricettazione, la prostituzione e la vendita di sostanze stupefacenti.
Sempre secondo l’Ufficio studi della Cgia, l’aumento delle segnalazioni di riciclaggio potrebbe trovare una sua “giustificazione” nel fatto che negli ultimi anni gli impieghi bancari al netto delle sofferenze alle imprese hanno subito una contrazione molto forte. Non va quindi escluso che, avendo ricevuto molti meno soldi dagli istituti di credito, tanti imprenditori, soprattutto piccoli, si siano rivolti a chi poteva erogare liquidità con una certa facilità. —
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