Al Teatro Verdi di Trieste resta in scena Barbato
Terzo ko giudiziario per la Fondazione. La Corte d’Appello rigetta il ricorso: «Illegittimo il licenziamento» dello scenografo
TRIESTE «Gli enigmi sono tre, una è la vita!» canta il principe Calaf nella Turandot di Puccini. In questa vicenda, che non è una fiaba, non cadrà nessuna testa. Il Teatro Verdi si è visto per la terza volta respingere la richiesta di licenziamento in tronco dello scenografo Aurelio Barbato, avanzata dal sindaco Roberto Dipiazza, presidente della Fondazione del teatro lirico. Un trittico di sconfitte giudiziarie, per restare in ambito pucciniano, che è costato al Verdi almeno 15 mila euro di sole spese. Cinquemila euro da pagare solo per l’ultimo reclamo respinto (in quanto “infondato”) dalla Corte di appello l’11 gennaio scorso, presidente il giudice Mario Pellegrini.
Al Verdi non resta che la Cassazione sempre che si voglia investire altro denaro pubblico in una causa “persa”. Una battaglia giudiziaria che va avanti da quasi due anni nei confronti di Barbato, un mago delle scenografie, arrivato a Trieste nel 2013 dall’Arena di Verona quando era sovrintendente Claudio Orazi per rivestire il ruolo di responsabile dei tecnici di laboratorio del Verdi. Nell’agosto scorso il giudice Paola Santangelo aveva rigettato il ricorso della Fondazione che puntava a riformare l’ordinanza del giudice Silvia Burelli in forza della quale Barbato, solo tre mesi prima, era stato reintegrato al posto di lavoro. «Non commento i fatti che riguardano i dipendenti», aveva replicato all’epoca il sovrintendente Stefano Pace.
La brutta storia era stata innescata da un servizio fotografico del 20 maggio 2016 sulla realizzazione, nel laboratorio delle Noghere, delle scenografie per l’operetta “Die Fledermaus” (“Il Pipistrello”) di Strauss in cartellone al Verdi in giugno. Le fotografie, che avrebbero dovuto essere utilizzate su internet, mostravano gli addetti ai lavori privi del caschetto e dei dispositivi antinfortunistici obbligatori per legge. Così era scattato, dopo una lettera di contestazione, il licenziamento in tronco per Barbato, responsabile dei tecnici di palcoscenico del Verdi.
«Licenziato per giusta causa per avere consentito e tollerato che i lavoratori addetti al laboratorio di scenografia operassero senza utilizzare gli strumenti di protezione individuali», sostenne il Verdi con i legali Aurelio Gentili, Roberto Valecchi e Fabio Padovini. Una tesi ribaltata dal giudice Burelli, che nell’ordinanza aveva accolto le conclusioni dell’avvocato Corrado Calacione, legale dello scenografo. Non c’erano prove della negligenza. Nell’istruttoria, inoltre, è emerso il fatto che Barbato «era stato incaricato della direzione dei lavoratori solo da un mese e anzi di fatto li dirigeva solo da 11 giorni». Era stato, infatti, trasferito dal teatro alle Noghere con l’arrivo del nuovo sovrintendente Pace a causa di rapporti non proprio idilliaci. Tanto da far parlare il giudice del licenziamento come forma di «ritorsione». Ripetuta per tre volte. E per tre volte respinta. Con lo scenografo che non abbandona la scena.
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