Affaire-mascherine, bufera a Lubiana. Il “pentito” accusa e inguaia il governo

LUBIANA I principali siti di informazione della Slovenia, i quotidiani e le loro pagine web le trattano come notizie separate, come se non avessero nulla a che fare l’una con l’altra, ma se unite con pazienza formano invece un puzzle che porta impresso su di sé uno scenario socio-politico già visto, un dejavù in salsa magiara con tutti i contorni del sovranismo populista. Che tanto piace al premier ungherese Viktor Orban, ma anche al suo sfegatato fan sloveno Janez Janša (destra populista), anche lui ora primo ministro.
La prima tessera del nostro mosaico è costituita dal cosiddetto “Affare mascherine”, ossia l’abuso d’ufficio, la corruzione e il nepotismo che ha caratterizzato la gestione degli acquisti dei dispositivi sanitari di protezione individuale in Slovenia. Ora c’è un nuovo particolare della vicenda. Ivan Gale, il pentito, o meglio la talpa dell’intera vicenda, facente funzioni di direttore alla Riserva nazionale merci, ha scritto sul suo profilo Facebook che voleva incontrare Janša il 15 aprile e parlargli dei controversi acquisti di dispositivi di protezione, ma il primo ministro non ha risposto: «Ho appena sentito in tv che il premier non era a conoscenza che cercavo di contattarlo. Questa è una bugia! Prima di tutto, volevo incontrarlo per informarlo delle minacce fatte dal ministro (dell’Economia ndr. ) Počivalšek con la sua intenzione di licenziare l'allora direttore Zakrajšek, nonché sulle false accuse mosse contro di me, che continuavo a sottolineare le irregolarità. Ho fallito con il ministro ed è stato come se stessi parlando al muro». Gale ha anche allegato una copia delle e-mail inviate a Janša. Dal gabinetto del premier replicano che il primo ministro «non era a conoscenza del tentativo di Ivan Gale di contattarlo».
La seconda tessera sta nella notizia che il ministro degli Interni Aleš Hojs ha informato gli altri colleghi dell’Unione europea della lotta in corso tra media e polo politico di sinistra contro il governo. Dopo che diversi manifestanti (tremila in tutto il Paese?) si sono riuniti lunedì a Lubiana , Maribor, Ptuj e Nova Gorica per protestare contro la leadership del Paese nelle mani di Janša, sempre lui, il ministro Hojs ha invitato la polizia a utilizzare tutte le fotografie pubblicamente disponibili per identificare i manifestanti , perché tutti i partecipanti alla protesta saranno processati per aver violato la norma di divieto di assembramento in luogo pubblico durante lo stato di emergenza da coronavirus. Poco rassicuranti le parole sul caso del Commissario all’informazione Mojca Prelesnik. «Dalle dichiarazioni del ministro Hojs - afferma - si deduce che la polizia ha ricevuto l’ordine di considerare qualsiasi forma di movimento personale nei luoghi pubblici, anche se rispettoso delle distanze di sicurezza personale, come un sospetto di violazione delle norme sulla salute emanate per l’emergenza da Covid-19». «E questo - conclude - in una società democratica è un serio motivo di preoccupazione di interventi sui diritti umani».
La terza tessera del mosaico invece estende i suoi contorni attorno al mondo militare della Slovenia. L’Esercito, infatti, sta perfezionando l’acquisto di 600 kit individuali anti-sommossa. Secondo il ministero della Difesa serviranno a sostituire le dotazioni ormai logore dei soldati sloveni presenti in Kosovo nell’ambito della missione Nato della Kfor. Ma quei soldati sloveni sono complessivamente 250. I conti non tornano. Allora il ministero insiste nel sostenere che l’ordine è già stato avviato dal governo precedente.
Il problema sta nel fatto che sia il premier Janez Janša, sia il ministro della Difesa Matej Tonin, i quali hanno trovato un inatteso alleato nello stesso comandante in capo delle Forze armate slovene, ossia il presidente della Repubblica Borut Pahor, vogliono che all’Esercito vengano concessi gli stessi poteri delle forze di polizia, attivando l’articolo 37 bis della Costituzione. Ma servono i due terzi dei voti in Parlamento. Governo e capo dello Stato temono una nuova massiccia ondata di migranti lungo la rotta balcanica che, come è noto, attraversa anche la Slovenia. Ma i dati attuali smentiscono tali timori. L’immigrazione clandestina nel Paese è stata a marzo del 40% in meno rispetto allo stesso periodo dello 2019 e nella prima metà di aprile il numero degli attraversamenti illegali delle frontiere è diminuito del 75%.
Tre tessere che disegnano un mosaico non proprio rassicurante. Nei palazzi del potere di Lubiana c’è tanta voglia di “democratura”, di dittatura infiocchettata di democrazia. Tre tessere, dicevamo, tre indizi che, come è risaputo, costituiscono una prova. —
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