Addio a Dorfles, il racconto di quando ballava a casa di Svevo

 In questa intervista del Piccolo, risalente al 2012, il critico dell'arte scomparso giovedì 2 marzo all'età di 107 anni, racconta la sua amicizia con l'autore de "La coscienza di Zeno"
Lasorte Trieste 13/04/16 - Biblioteca Statale, CCA, Conferenza con Gillo Dorfles
Lasorte Trieste 13/04/16 - Biblioteca Statale, CCA, Conferenza con Gillo Dorfles

Gillo Dorfles e Topazia Alliata: l'arte di attraversare un secolo

TRIESTE Trieste ricorda in questi mesi, con conferenze, spettacoli teatrali e altre iniziative, i 150 anni della nascita dello scrittore Italo Svevo, al secolo Ettore Schmitz, scomparso nel 1928 in seguito a un incidente automobilistico. Ma del famoso autore, che fu radicale innovatore del romanzo a livello europeo, ben pochi oggi possono dire: «Io lo conoscevo bene».

Tra questi c'è Gillo Dorfles, raffinato critico e pittore di origine triestina. In una delle edizioni storiche de "La lettura" - il mensile nato nel 1901 grazie all'intuizione di Ferruccio Albertini, attivo fino al '45 quale omaggio agli abbonati del "Corriere della Sera" e ora rinato come allegato domenicale del quotidiano milanese - scriveva sapide e vivaci note sulla sua frequentazione di Villa Veneziani: era il suo primo articolo.

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«La Trieste di quel dopoguerra era avida di svaghi e di feste; un'atmosfera effimera e stupefacente l‘animava - ricordava allora Dorfles -. La domenica che ci andai (a Villa Veneziani; ndr) per la prima volta fui subito accolto nel crocchio variopinto e rumoroso delle giovani fanciulle della famiglia... mentre nella sala più vasta un pubblico… accigliato e più maturo di noi seguiva in raccoglimento un concerto pianistico del figlio maggiore della padrona di casa. La strana villa-fabbrica» - precisava il critico - che sorgeva ai piedi del colle di Servola, - oasi di lusso e di borghese mondanità in mezzo ai grossi edifici dei cantieri e delle officine che quasi la sommergevano - divenne ben presto la meta di quasi tutte le mie domeniche».

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E non è un caso se proprio Dorfles è stato tra gli ospiti di prestigio che il 13 novembre 2011 hanno tenuto a battesimo al Teatro Franco Parenti di Milano la riedizione dello storico supplemento di approfondimento culturale del "Corriere", presente oggi anche con un vitale riverbero sullo spazio web del quotidiano. «Sul primo numero della nuova "Lettura" - dice Dorfles, che è stato anche professore di Estetica all'Università di Trieste - ho raccontato anche del mio articolo sul bombardamento della villa Veneziani»

«Quando, dopo il maggio '45 - scriveva allora Dorfles sulla "Lettura" -, mi giunsero in Toscana le prime frammentarie notizie dal Nord, e poi anche da Trieste, una delle prime cose che venni a sapere da amici triestini fu il crollo di Villa Veneziani…era stata la reggia e la prigione, il piedestallo e il patibolo di Svevo. Molta parte dell'atmosfera di "Zeno" e dell'azione stessa del romanzo è tratta da quelli ambienti che mi erano così familiari».

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Quando e come conobbe Svevo? «L'ho conosciuto molto bene frequentando Villa Veneziani, dove si riuniva tutta o quasi tutta la famiglia Veneziani. La vecchia signora Olga, che aveva ottant'anni ed era un po' la patronessa di tutta la villa, ospitava tutte le domeniche i giovani che venivano a ballare, a stare insieme, a prendere il tè. E quindi in quelle occasioni, oltre ai giovani che venivano a divertirsi, come nel mio caso, c'era anche il vecchio Ettore Schmitz, cioè Italo Svevo, che riceveva nel suo studio qualche letterato».

Fra i giovani dell'epoca chi c'era? «Tutte le nipoti dei Veneziani, Alma degli Oberti di Valnera, originariamente Höbert von Schwarztal, dei Blitznacov, che erano di origine bulgara, la figlia di Italo Svevo Letizia, le cugine Gioconda e Letizia…e poi Piero Slocovich, Bruno Fuchs e altri. Ma un aspetto interessante era rappresentato dalle persone che venivano a trovare il vecchio Fritz, tra cui Giacomino Debenedetti, lo storico Leo Ferrero e naturalmente anche Saba, che qualche volta interveniva con la figlia».

Lasorte Trieste 13/04/16 - Biblioteca Statale, CCA, Conferenza con Gillo Dorfles
Lasorte Trieste 13/04/16 - Biblioteca Statale, CCA, Conferenza con Gillo Dorfles

Che atmosfera prevaleva? Di brio e di allegria? «Sì, era una domenica in cui i giovani venivano a ballare, a divertirsi. Svevo stava in un suo studio, che era vicino al salotto, dove riceveva quei letterati o quelli amici che erano già anziani; quindi erano due reparti separati».

Che temperamento aveva Svevo? «Era un uomo delizioso, molto amorevole e molto gentile, sempre pronto a far piacere a qualcuno, quindi era un uomo molto amato in famiglia, lo zio Ettore, e poi molto benvoluto dai personaggi della fabbrica. Non dimentichiamo che Svevo si occupava anche lui delle vernici della Veneziani».

Lei quanti anni aveva allora? «Dai 18 in su (Dorfles nasce a Trieste nel 1910 ndr). Riguardo al successo di Svevo, gli anni 1928, '29 e ‘30 erano proprio gli inizi, il periodo in cui finalmente i francesi con il critico Benjamin Crémieux si sono accorti che c'era questo letterato italiano e tutto ciò per merito indiretto di Bobi Bazlen, che aveva mandato in Francia a Crèmieux i vecchi libri di Svevo, ignorati da tutti: è stato quello l'inizio della sua notorietà».

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Come le sembrava che Svevo accogliesse questo riconoscimento, alfine giunto? «Naturalmente con grandissima soddisfazione, perché prima d'allora era considerato un dilettante che perdeva il suo tempo a scrivere, invece di occuparsi della fabbrica».

Lei come lo colloca quale letterato e scrittore nel panorama europeo e internazionale? «Non dimentichiamo che Svevo fa parte di quella grande stagione dove c'erano gli Schnitzler, Thomas Mann, Werfel, Wedekind; quindi soprattutto la grande letteratura tedesca degli anni ‘10 e '20 del secolo scorso faceva parte di tutto un insieme del quale Svevo è assolutamente consanguineo: non dimentichiamo che lo scrittore aveva studiato in Germania e in fondo la sua lingua era più il tedesco che l'italiano, anzi più il triestino che l'italiano».

Qual è stato il suo pregio maggiore come autore? «Svevo è un grande romanziere. non si può dargli altro titolo. Ha saputo svolgere i suoi romanzi, "Una vita", "Senilità" e "La coscienza di Zeno", con tutte le caratteristiche che deve avere un romanzo». Sotto il profilo umano qual era la sua qualità principale? «La sua gentilezza e affabilità. Anche con i giovani; era una persona spiritosa, non lugubre, ma vivace e anche allegro».

Il personaggio di Angiolina, protagonista di "Senilità", a chi era ispirato? «Questo non lo so, forse fa parte dei segreti sentimentali. Quando frequentavo Villa Veneziani Svevo era abbastanza vecchio, è morto un paio di anni dopo; non so se le donne del romanzo corrispondessero alle ragazze della villa quand'era giovane».

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