A Trieste dal 2008 chiuso in centro un negozio su 4

Uno studio di Confcommercio assegna al capoluogo regionale il record negativo nazionale con 214 serrande abbassate. «Desertificazione»
Una scritta comparsa spesso sulle vetrine del centro di Trieste
Una scritta comparsa spesso sulle vetrine del centro di Trieste

TRIESTE Negli ultimi sette anni nel centro di Trieste ha chiuso un negozio tradizionale su quattro. È quanto emerge da un’indagine condotta dall’Ufficio studi di Confcommercio su dati di Infocamere che alla fine colloca Trieste come simbolo nazionale della desertificazione dei negozi. Risulta infatti che tra il 2008 e il 2015 in centro hanno chiuso 214 negozi con un calo del 25,2 per cento, mentre in periferie le chiusure hanno colpito altri 175 esercizi, numero pari al 16,7%. Nei 39 comuni che sono stati presi in considerazione la percentuale di chiusure nei centri storici è anch’essa del 16,7%, 8 punti percentuali e mezzo migliore rispetto a quella triestina. Nella classifica di questa desertificazione Trieste precede Perugia (-22,9%), Potenza (-21,8%) e la seconda città del Friuli Venezia Giulia, Udine (-20,8%). Peggio della media nazionale sono messe anche Firenze con -19,8% e Genova -18,2%.

La regione più ricca di centri commerciali
L'esterno dello Shopping center Tiare dell'Ikea a Villesse

I negozi presi in considerazione sono quelli che riguardano tredici categorie tra cui alimentari, rivendite tabacchi, farmacie, carburanti, computer, telefonia, libri, giocattoli, tessili-abbigliamento, ferramenta, mobili, commercio ambulante. A essere valutati sono stati 39 comuni italiani di medie dimensioni dove risiedono complessivamente 6.9 milioni di abitanti, cioé l’11,3% della popolazione italiana. Nei 39 comuni presi in considerazione complessivamente i negozi di commercio al dettaglio in sede fissa sono calati del 14,7% e il calo più vistoso si è registrato nel settore dei carburanti (-28.8%), mentre il commercio ambulante è cresciuto del 43,3%. Piccolo balzo all’insù del 5% anche di alberghi, bar e ristoranti. Nel resto d’Italia invece il commercio al dettaglio è calato solo del 5.9% e alberghi, bar e ristoranti sono cresciuti del 12,4%.

Non viene riferito un dato suddiviso per città per quanto riguarda quest’ultima categoria il che avrebbe reso più completa anche l’analisi su Trieste dove bed&breakfast, bar e locali più o meno di tendenza sembrano invece in discreta crescita. Lo studio prende in considerazione anche la demografia d’impresa nei 39 comuni italiani di media grandezza e anche in questo caso Trieste si piazza in fondo alla classifica con 380 chiusure tra centro e periferie e un -11,8% nel giro sempre di sette anni. Ma l’indagine sembra dimostrare anche che la rete commerciale triestina, che recentemente ha registrato due chiusure clamorose quali Godina e Marchi Gomma, non è più sovradimensionata come invece sembrava fino a poco fa, residuo in parte addirittura degli anni Settanta e Ottanta con il boom degli acquirenti dall’allora Jugoslavia. Vi è infatti in città un negozio ogni 123 abitanti, il che colloca Trieste al quartultimo posto dietro solo Trento (uno ogni 148), Bolzano (uno ogni 142) e Parma (uno ogni 124). In vetta alla classifica Lecce con un negozio ogni 49 abitanti seguita da Pescara (uno ogni 64) e da Cagliaro (uno ogni 65). Al Nord la prima è Aosta (uno ogni 81).

Un’altra spiegazione della posizione non solo di Trieste, ma anche di Udine può essere data dal fatto che, al contrario, appartiene al Friuli Venezia Giulia il record italiano dei centri commerciali con 687 metri quadri ogni mille abitanti.

Trieste: targato Obi il primo centro monomarca
L'ex concessionaria Dino Conti

«Dall'analisi del nostro Ufficio studi - ha commentato il presidente nazionale di Confcommercio Carlo Sangalli - emergono sostanzialmente due fenomeni: il primo, che negli ultimi sette anni nei centri storici delle medie città c'è stata una forte riduzione di negozi tradizionali, solo parzialmente attenuata dalla crescita del commercio ambulante; il secondo, che in queste stesse città è cresciuto il comparto turistico-ricettivo. C'è, dunque, un concreto rischio di desertificazione commerciale dei centri storici che va assolutamente scongiurato per non creare disagi ai residenti e per rivitalizzare queste aree creando una maggiore coesione economica e sociale».

«E il primo passo da fare - ha continuato Sangalli - è sicuramente agire sulla leva tributaria per ridurre le imposte sulle attività economiche essenziali e per consentire l'utilizzo della cedolare secca anche sulle locazioni commerciali. Per questo, Confcommercio ha messo in campo iniziative - come UrbanPro e il protocollo di intesa siglato con l'Anci - proprio con l'obiettivo di favorire il recupero, la riqualificazione e la valorizzazione delle aree urbane e creare maggiori opportunità di sviluppo per i territori e le imprese. Così come, in ambito europeo, guardiamo con favore all'Agenda urbana europea, di prossima attuazione, auspicando sin da ora un maggior utilizzo da parte dei Comuni dei piani regolatori e delle risorse finanziarie dei fondi strutturali. Solo così si creeranno le condizioni per avere dei veri e attrattivi centri commerciali naturali nelle città capaci di creare ricchezza e contribuire alla crescita del Paese».

©RIPRODUZIONE RISERVATA

Riproduzione riservata © Il Piccolo