A caccia di Giove e Orione con il telescopio di Hack
Un rumore sordo, seguito da un lungo stridore, segna l’apertura della cupola e il ritorno, dopo cinque anni di oblio, alla visione della volta celeste tramite un nuovissimo telescopio, frutto della sapienza della ditta Marcon di San Donà di Piave. La Bora e la pioggia avevano compromesso la Specola didattica Urania Carsica. Le generose donazioni, raccolte attraverso una campagna di crowdfunding promossa da Televita e sostenuta dal Piccolo, hanno invece permesso di ridarle vita, attribuendole il nome di Margherita Hack, l’astrofisica che sotto la porzione di cielo di Basovizza ha costruito parte della sua luminosa carriera.
L’Osservatorio astronomico di Trieste è una delle sedi dell’Inaf, l’Istituto nazionale di astrofisica. Il telescopio nuovo arrivato è una delle punte di diamante di questo centro di eccellenza, costruito a Basovizza a metà degli anni ’60 per tentare di fuggire dall’inquinamento luminoso della città, vero e proprio spauracchio di qualsiasi appassionato di astronomia. Si tratta di uno strumento di elevata qualità, del costo di circa 90mila euro, che è stato pensato per la fruizione da parte di un pubblico inesperto, grazie alla possibilità di adoperarlo senza la mediazione di apparecchiature elettroniche. Una volta aperta la cupola, quasi fosse un sipario che divide il pubblico da uno spettacolo di stelle, la scena viene impegnata da un simbolico duetto, che ha come protagonisti la luce degli astri e il riflettore di 60 centimetri di diametro del telescopio. La luce entra nel tubo di metallo e arriva a uno specchio sferico che la invia nuovamente a un altro specchio, il cui compito è quello di dirottare la stessa luce all’oculare, dal quale si può ammirare il corpo celeste.
Una triangolazione che avviene nel tempo di un battito di ciglia, sufficiente a spalancare una porzione di cielo che, a occhio nudo, non apparirebbe in maniera così definita. La Specola Hack, infatti, riesce a ingrandire il target puntato di 400 volte. «In queste condizioni atmosferiche e climatiche – spiega l’astrofisico Massimo Ramella, responsabile delle attività didattiche e divulgative della stazione osservativa – non avrebbe avuto senso dotarsi di uno strumento più potente. Questo è il massimo al quale potevamo ambire e ci consente di portare avanti un’attività scientifica, rivolta al grande pubblico, che non ha eguali in Italia».
Niente a che vedere con i grandi telescopi, quelli che hanno lenti con un diametro di dieci metri, e che si prestano esclusivamente a un uso scientifico. Ne esistono pochissimi al mondo e trovano spazio in alta quota o nel mezzo dei deserti e degli oceani. La luce delle città ha rubato la scena alle stelle e i ricercatori di astrofisica sono dovuti correre ai ripari allontanandosi dalla civiltà.
L’esperienza di Basovizza rimane comunque affascinante. Lo dimostrano i venticinque nasi, tante sono le persone ammesse a ogni visita, costantemente rivolti all’insù durante l’intera visita. Ramella spiega ogni passaggio legato all’osservazione, insieme al direttore della cupola Conrad Bohm e ad alcuni dottorandi. Attraverso un calcolatore viene puntato l’astro celeste che si vuole esplorare. Una volta agganciato, il telescopio è programmato per inseguirlo, per assecondare, cioè, il moto di rotazione terrestre e non perderlo di vista. Il pianeta Giove, la stella multipla Mizar, la nebulosa di Orione e l’ammasso doppio del Perseo si sono concessi ai visitatori, complice l’assoluta assenza in cielo di nuvole. Thomas Dorgnach ha tredici anni e una certezza: da grande vuole fare l’astrofisico, seguendo le orme della cugina Cristina Knapic, che ha già intrapreso questa professione. È arrivato da Cividale insieme ai genitori e di un’altra cosa è sicuro: «Resterei a guardare questo cielo tutta la notte». Per fare come Thomas si può contattare la segreteria dell’Osservatorio di Trieste al numero 040/3199241, o attraverso il sito www.oats.inaf.it. Le visite andranno avanti fino al mese di giugno.
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