Zorzi: «Trieste è tornata nel suo habitat naturale»
TRIESTE Tonino Zorzi è un hall of famer (dal 2011 ndr.) come allenatore, l’inventore del “passing game” ad alto tasso di spettacolarità che ha visto la più brillante espressione nella vittoria in Coppa Italia della Scandone Avellino allenata di Matteo Boniciolli; la sua lunga carriera di giocatore e di allenatore viene messa “nero su bianco” nel libro “La mia Itaca” edito da Basketcoach.net e presentato mercoledì alle 18 nella storica palestra della Uss Goriziana .
Un goriziano che racconta la sua storia, nell’anno in cui Trieste ritorna in serie A…
«L’Alma Trieste torna nel suo ambiente naturale, la serie A. Ha fatto un’ottima campagna di rafforzamento estivo, senza voli pindarici ma improntata a incastonare giocatori di qualità e affamati. Con la mentalità del mio ex giocatore Daniele Cavaliero, uno che non ha mai smesso di migliorarsi, può fare un campionato importante».
Dove può arrivare da neo-promossa?
«Prima di tutto conquistare la salvezza, partendo magari con un ambizioso obiettivo di raggiungere le Final Eight di Coppa Italia, vetrina importantissima per il club. Fondamentale sarà lavorare sul doppio aspetto, difesa-attacco, perché la serie A non perdona».
Una vita da giocatore e una vita da allenatore raccontata in un libro. Dove nasce l’idea di trascrivere la sua esperienza sportiva?
«Il titolo è un’intuizione dell’avv. Carlo Spillare, il quale ha paragonato Itaca alla mia Gorizia, essendo un allenatore che ha girato tutta l’Italia per lavoro. Perché l’ho scritto? Perché è la mia vita, il basket è l’amore di sempre che conservo gelosamente come quello per la mia ragazza Anna. Avevo bisogno di tirare un riga per fare un bilancio, caratterizzato da soddisfazioni e delusioni…»
La soddisfazione e la delusione più grandi?
«La soddisfazione più grande è quella di aver fatto l’allenatore, la delusione ancora viva è la mancata partecipazione alle Olimpiadi di Roma, me le meritavo!».
Perché nel pieno della carriera da giocatore ha deciso, a 27 anni, di intraprendere quella da allenatore?
«Perché mi sentivo stretto nel ruolo di specialista tiratore. Volevo di più e iniziando ad allenare ho migliorato anche la pallacanestro giocata, trasformandomi nel moderno esterno a due dimensioni, play-guardia. Il percorso poi intrapreso sui fulgidi esempi dei vari Punteri, Gubana, Collini, Bensa e la loro cura per i “fondamentali”, mi ha confermato la bontà della scelta».
Un percorso molto lungo, fatto anche di tante conoscenze. A chi si sente più legato?
«Mi sento legato ai miei pretoriani, ai vari Gorghetto, Avenia, Santoro (ora GM della Leonessa Brescia ndr.), Carraro, Attruia…così come a diversi americani, Steve Hakws su tutti».
Cosa vuole lasciare con “La mia Itaca”?
“Non ho la presunzione di voler lasciare niente. Vorrei che trasparisse la mia passione per la pallacanestro, quella nata da “mulo” e cresciuta nei campetti all’aperto o dentro le palestre. Oggi ci sono pochi campi ma non smetterò di sensibilizzare l’opinione pubblica per far si che lo sport abbia la stessa dignità dell’insegnamento genitoriale e scolastico». —
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