Triestina, Bucchi: «I play-off una base per ripartire. Ora ci sono altre priorità ed è giusto aspettare»

Il tecnico parla di una stagione difficile con un occhi al futuro.  «La morte di Biasin uno choc, a gennaio il momento critico»
Antonello Rodio

TRIESTE. Fra quelli che dopo il lutto per la morte di Mario Biasin aspettano di capire quale sarà il futuro della Triestina, non ci sono solo i tifosi. Oltre ai giocatori, c’è ovviamente mister Cristian Bucchi che attende di capire come si potrà organizzare la prossima stagione. Il tecnico intanto racconta il momento di stand by

Bucchi, come vive questa attesa di notizie?

«Dopo l’eliminazione di Palermo ci eravamo presi il week-end per metabolizzare, poi il lunedì mattina è arrivata l’improvvisa e terribile notizia. Mauro e Romina sono partiti per l’Australia, l’aspetto umano ha la priorità su tutto in questo momento. Siamo rimasti che ci saremmo aggiornati non appena la situazione si sarebbe delineata. Per ora sembra che ci possa essere una continuità, ma è presto per capire che tipo di sostegno sarà».

Dal finale della stagione conclusa, invece, cosa si porta dietro?

«Da Palermo siamo venuti fuori sconfitti ma entusiasti, con un nuovo punto di partenza: si è ricreato feeling con la gente, è tornata la voglia di ritrovarsi tra pubblico, città, squadra e società che ci era mancata tanto. Dopo quello che è successo, ora ovviamente dal punto di vista tecnico siamo fermi».

Qual è il suo bilancio di questa annata?

«Se avessi vissuto la stagione da esterno, vedendo società, stadio, staff e squadra, mi sarei aspettato che si potesse giocare per il vertice. Ma vivendola dall’interno, abbiamo dovuto fare i conti con situazioni che non sono alibi da vendere, ma la pura realtà, Quindi dico che abbiamo raggiunto un buon risultato, siamo arrivati quinti e abbiamo fatto degli ottimi play-off».

Quali sono state queste situazioni pesanti?

«A parte che il distacco di 35 punti dalla vetta è dovuto anche ai numeri storici e irripetibili del Sudtirol, il nostro grande problema è non aver mai avuto una continuità fisica, tecnico e tattica. A volte chiamavamo 6-7 ragazzi per arrivare a 20, abbiamo cambiato vari moduli, più per necessità che per scelta. E così si fa fatica».

In effetti la girandola di moduli è stata incredibile.

«A inizio campionato con gli infortuni di Sarno e Petrella, oltre a Calvano, e la partenza di Gatto non avevamo più esterni. Sono arrivati dal mercato più dei quinti, e fisiologicamente ci siamo messi col 3-5-2 e per un po’ abbiamo fatto bene. Poi sono iniziati i guai per i difensori, così col rientro di Procaccio e Sarno siamo andati sul 4-3-3 col quale abbiamo fatto un buon percorso a fine andata».

A gennaio cos’è successo? «Questo è stato lo snodo della stagione: fin lì eravamo a 9 punti dal Padova e 11 dal Sudtirol, e abbiamo ripreso proprio con i due scontri diretti. Ci siamo arrivati con una ventina di reduci dal covid e pochi allenamenti, abbiamo fatto comunque delle ottime prestazioni ma abbiamo perso. E lì mentalmente abbiamo subito un duro contraccolpo».

Inoltre i problemi fisici non vi hanno mai abbandonati.

«Quando ci siamo ripresi, è iniziato il calvario degli infortuni. Mi sono ritrovato con l’organico ridotto all’osso. Abbiamo fatto il massimo che potevamo, non siamo stati mai liberi di scegliere e un allenatore non è mai contento di cambiare tanto. Con solo Calvano e Crimi, siamo andati sul 3-4-3».

Il finale è stato in crescendo.

«Col Palermo abbiamo dominato tre tempi su quattro con pali, traverse, rigori sbagliati e gol annullati, pagando cari solo due errori nel primo tempo al Rocco. In queste partite ho visto una grande Triestina, la migliore della stagione, con il 4-3-3 che volevo io, offensivo, esuberante ed energico».

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