Trieste, il sogno diventa realtà: dopo 14 anni l'Alma torna in A

TRIESTE. No, non è mai come la si immagina. Una settimana di attesa. Luna, snervante, carica di attesa. Quell’attesa che si legge negli sguardi della gente. Nei saluti, nelle battute. «Ragazzi, mi raccomando». Un’unica vocale. Sempre quella. A. «Ridateci la A». Ah, la A...
Non è mai come la si immagina. La partita, quella che può valere tutto. A Casale Monferrato. In trasferta. Quante volte, quell’odiosa litania. «Però, in trasferta non vincete mai...». La festa. Come potrebbe essere la festa, lontano dai tuoi 7mila dell’Alma Arena? Una gioia per pochi intimi?
E invece eccola, la A. E la festa della A. E che festa. Dove sono gli oltre 500 chilometri di distanza da Trieste? Annullati in 40 minuti. Perchè, per il popolo dell’Alma, la serata è molto meglio di come mai avrebbe potuto immaginarla. Trieste si prende la sua festa e la sua A. Lo fa invadendo il parquet di un Palasport che grazie all’invasione triestina stabilisce il record storico di pubblico e lo fa invadendo l’Alma Arena perchè vuoi mettere emozionarsi e gioire a migliaia, insieme davanti al maxischermo rispetto alla diretta tv vista in solitudine. Non ci sono divano e birra ghiacciata che tengano. Questa festa la si attende da 14 anni. Non è una serata qualsiasi. Non dev’esserlo.
Una partita la si può leggere in anticipo negli sguardi e nei gesti del riscaldamento. Green che tira con le cuffiette in testa. Il presidente Mauro che affonda la tensione tra gli schienali imbottiti della panchina. Cittadini che vince il mal di schiena perchè anche se bussi ai 40 a una promozione sul campo mica ci rinunci a cuor leggero. Cavaliero che ha già buttato la maschera in spogliatoio, perchè il ritorno in A val bene uno zigomo fratturato. Quello che è ormai il solito starting five. Mussini, Cavaliero, Green, Bowers, Da Ros. Da sabato sera è una cantilena sacra, quanto Zoff, Gentile, Cabrini....
Un’Alma in modalità serie A da subito, prendendosi dieci punti di vantaggio, quasi a voler mettere le cose in chiaro. Troppa voglia di A. Ma nessuna conquista importante avviene senza sforzo.
E in una serata storica si può accettare tutto. Si può accettare un black-out in attacco che permette a Casale di annullare l’handicap ma anche questo, in fondo, rientrava nelle previsioni: si tratta in fondo di gente che in due giorni è stata in grado di riprendersi da una legnata a casa della Fortitudo Bologna per poi vendicarsi umiliandola davanti alla curva del PalaDozza. Si può accettare che Javonte Green, dannazione, dopo aver abbagliato tifosi propri e avversari per tutti i play-off, decida proprio sul più bello di atterrare con la sua astronave nel mare della normalità. Si può accettare che Bobo Prandin, guerriero sul parquet ma fondamentalmente una pasta d’uomo, si becchi un fallo tecnico immotivato. Rimane gagliardamente in campo, a costo di immolarsi e finire anzitempo la partita perchè una serata così quando ricapita? Si può accettare persino che occorra aspettare gli ultimi minuti per poter finalmente far esplodere quella sfrenata gioia che per 35 minuti in tanti hanno dovuto soffocare, tenendola a bada.
Tanto, alla fine, tutto questo non conta. O, almeno, non conta poi troppo. Meglio ricordare una stoppata di esaltante tempismo di Green, l’ennesima tripla di Daniele Cavaliero, la tenacia di Juan Fernandez che la giocata da protagonista se la va a cercare a dispetto di una condizione che non è mai stata quella che probabilmente avrebbe voluto per play-off in prima fila. Conta, ancora più di questo, che l’Alma prende a schiaffi anche i preconcetti che hanno accompagnato questa stagione. «Manca un centro di peso, Bowers è troppo leggero per una coppia con Da Ros». E Bowers e Da Ros hanno portato Trieste in serie A. «Adesso che Treviso ha ingranato, non ce n’è più per nessuno».
E al Palaverde abbiamo vinto di noi, da padroni. «Mussini non è quello che ci serve». E Mussini è uno dei volti vincenti di questi play-off, regalando energia e freschezza. «Dodici galli nel pollaio sono troppi». E a ogni partita due giocatori a turno hanno accettato di restare fuori, forse senza il sorriso sulle labbra ma pronti ad abbracciare per primi i compagni dopo la vittoria. «Dalmasson...».
Il coach meriterebbe un capitolo a parte. Oggetto di critiche sgradevoli e intempestive, spesso il più nel mirino. Beh? Non difende mai a zona, è vero. Non sarà un oratore in inglese, il timing di qualche time out forse non sarà stato da cronometro svizzero ma questo miracolo lo ha voluto e costruito lui. Ha portato Trieste in A2 e ora in A. In questa festa la prima fila è sua.
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