SUPERMARIO E GLI ITALIANI DI SERIE B
di STEFANO TAMBURINI
Tenera è stata la notte dei clacson e della gioia, tutti a far festa con quelle fotografie che guarderemo per sempre anche senza bisogno di tirarle fuori da un cassetto: Mario Balotelli quando fa gol e quando si toglie la maglia, gonfia il petto e fa battere forte i cuori di tutti noi.
È stato quello il momento in cui Mario ha lasciato fuori dal campo la parte un po’ malvagia e un po’ folle di sé e ha innalzato la sua classe ancor più in alto dei nostri timori. Ora tutti lo osannano, a parte quelli che adesso si rendono conto che tirar fuori cose come il colore della pelle non sarebbe conveniente e allora parlano di «gesti da gradasso». Eh sì, sono gli stessi che Mario ha incrociato mille volte: non deve esser stato facile crescere dalle sue parti e affrontare un razzismo strisciante e feroce. Al pari di quello di tanti stadi.
Adesso no: tutti lo chiamano SuperMario e dicono di volergli bene. Ben venga anche questo, se quei due gol sono riusciti a cambiare il corso di una brutta storia. Ma ci sono altre brutte storie, meno note, quelle dei tanti Balotelli d’Italia. Era stato proprio il ct Cesare Prandelli, nella sua prima uscita con la cravatta della nazionale a parlarne: gli chiesero se avrebbe chiamato gli oriundi e lui, nel rispondere, li definì «nuovi italiani». Ieri gli hanno parlato di «nuovi italiani» e ha detto «no, sono italiani e basta». Prandelli ha avuto anche questo merito, di far capire che il territorio è di chi lo abita, lo rispetta e lo onora e non per diritto di sangue. Balotelli ha dovuto attendere i 18 anni prima di essere italiano e vestire l’azzurro, nonostante fosse nato a Palermo e avesse genitori adottivi italiani. E non finisce qui: solo due anni fa la Federcalcio – la stessa che adesso si beatifica con le gesta di Balotelli – è stata condannata per discriminazione per aver rifiutato di tesserare un togolese con permesso di soggiorno temporaneo. La Germania battuta giovedì non aveva in campo solo ragazzi di nome Karl Heinz, Sepp o Harald ma anche Mesut, Miroslav e Jerome. Provate a pensare agli azzurri con SuperMario ma anche con qualche Abdul, Goran o Zhu. Sicuri che non spunterebbe il solito purista un tanto al chilo? Eppure ce ne sono tanti di ragazzi così, sono italiani e giovedì erano lì a gioire e tifare come noi. Italiani per tutti ma non per lo Stato. E allora, applausi per Mario ma non fermiamoci ancora una volta all’anno zero dell’ipocrisia.
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