Quelli che hanno fatto grande l’Unione
Da Rocco a Colautti e Pasinati, da Trevisan a Petris e Milani fino a De Falco
di Bruno Lubis
di Bruno Lubis

TRIESTE Stabilire tramite elettronica chi è stato il miglior giocatore alabardato, sarebbe misurazione falsata. C’è troppa disparità tra chi sa usare il computer e chi no, chi ha visto tanti giocatori (quindi è per lo meno anziano) e chi ne ha visti solo negli ultimi campionati. Ma non c’è altro modo per mettere assieme alabardati del passato e di ieri e per tentare infine di allestire la formazione-tipo della Triestina di questi novant’anni.
Per il primo decennio non spicca alcun nome. E’ stata l’epoca dei primi tentativi, non c’erano campionati da disputare ma solo tornei e tanti confronti amichevoli. Già con gli Anni Trenta, la Triestina si era fatta alcuni campionati di serie B ed era approdata nella massima categoria. Il primo nome da fare è quello di Nereo Rocco il quale, più noto per i meriti di allenatore, fu anche un ottimo giocatore di pallone. Mancino, fisicamente forte, trovava spesso la via del gol. Fu chiamato anche in azzurro ma l’esperienza fu un lampo, un tempo di un’amichevole e poi basta. Di poco più giovane Piero Pasinati, col record di presenze in maglia rossa, nazionale campione del mondo 1938 a Parigi, ala destra e mediano: pur di giocare col pallone Pasinati era capace di fare l’attaccante ma anche di proteggere la sua difesa. Forse non è stato tanto bravo come realizzatore ma quanto a generosità, tutti lo volevano per compagno di squadra.
Ballerino instancabile, bel giovane, Piero Pasinati aveva fama di tombeur de femmes. Ma con la testa sulle spalle. I guadagni avuti dal calcio non sono andati sprecati. Ha lanciato un laboratorio di vetreria che ancora porta il suo nome e si è dedicato al lavoro quando gli anni del calcio s’erano esauriti.
Quasi un gemello sia nello stadio del Littorio (il Grezar appena costruito) di Pasinati, un ragazzotto isontino di nome Gino Colausig poi risciacquato in Colaussi. Svelto come un demonio, furbo, deciso in area e disinvolto goleador già a 18 anni. Campione del mondo nel 1938, capocannoniere assieme a Piola degli azzurri con 4 gol, realizzò una doppietta nella finale contro l’Ungheria. L’anno dopo Colaussi fu ingaggiato dalla Juventus che voleva sostituire la leggenda di Mumo Orsi.
Colaussi subentrò nel ruolo, talento innato e pagato di conseguenza. Fece una fortuna che poi sprecò con investimenti cervellotici. Negli anni della vecchiaia si accompagnava a Piero Pasinati e si faceva ammansire: gli acciacchi, certi momenti neri rivissuti nel ricordo con rabbia, la pensione della legge Bacchelli avuta dopo l’interessamento di tante persone non rendevano certo mansueto uno che aveva l’argento vivo addosso. Pasinati con la sua calma lo consolava e Colaussi cercava un po’ di pace dell’anima accanto a chi lo comprendeva. Un fuoriclasse vero, irrefrenabile.
La guerra gli ha rovinato una carriera che prometteva di essere fulgida, Memo Trevisan mezz’ala dal fisico forte come un toro, abile coi piedi, testa da leader e carattere di ferro. Iniziò col Ponziana ma di nascosto correva ad allenarsi con l’allenatore ungherese della Triestina, sotto le tribune dello stadio. Konrad lo strazia di esercizi con gli addominali. Poi lo fa ingaggiare dalla Triestina. Nel 1940 Trevisan debutta in nazionale ma è già una stella del Genoa. Passano gli anni e nel 1945 torna a indossare la maglia della Triestina con Rocco allenatore: quell’Unione si piazzerà dietro il grande Torino, a pari punti con Milan e Juventus. E Trevisan ne era il leader e il capitano.
Vicino a cotanti miti, meritano il ricordo Pino Grezar, pilasto del Torino, morto a Superga, a cui era dedicato il vechcio stadio di Valmaura. Licio Rossetti ala destra di gran corsa, campione d’Italia con l’Inter. Goleador di razza come il rovignese Bruno Ispiro e, prima di lui, lo sfortunato Francesco Cergoli. Un portiere come Guerrino Striuli e poi il dottor Antonio Nucciari, per sette campionati tra i pali della porta alabardata.
Passata anche la Seconda guerra mondiale, si torna alla normalità. Alcuni nomi tornano a Valmaura, altri e nuovi vi fanno capolino. La Triestina è una presenza fissa in serie A, lo stadio vede affermarsi giocatori importanti come Cesare Maldini finito ben presto al Milan dove sarà il capitano, quello che solleverà, primo italiano, la Coppa dei Campioni a Wembley.
Tragica la fine di una grande promessa del vivaio alabardato, Uccio Merlak, infortunatosi in allenamento e poi morto per il sopraggiungere del tetano. In alabardato si fanno le ossa Sergio Brighenti, Ernesto Castano, Rinone Ferrario, Gigi Radice e poi il portiere Ferdinando Miniussi già dell’Inter, Giampiero Marini futuro campione del mondo 1982, Laszlo Szoke pendolare tra Udine e Trieste. Ma l’astro della squadra alabardata cominciava a perdere luminosità. Una retrocessione nel 1957 in serie B e l’anno successivo una cavalcata travolgente di una delle più belle formazioni viste a Trieste. Piero Bandini il portiere che tirava i rigori, poi Italo Mazzero, Fulvio Varglien, Aurelio Milani centravanti poi dell’Inter di HH. Petris puntero più decentrato, veloce e forte fisicamente, debuttante in nazionale sulla neve del Prater di Vienna contro l’Austria. Azzurri sconfitti 3-2 ma Petris felicemente in gol. Accanto a lui, la prima volta col numero 10 di maglia Mario David (poi, al Milan di Rocco, faceva il terzino) e con Boniperti all’ultima uscita internazionale della sua strepitosa carriera.
Che dire ancora? Che per 18 anni la Triestina è stata lontana dalla serie B, finita in terza e quarta categoria. Con Tiziano Ascagni e Totò De Falco coppia d’attacco, ma davvero bravi gli altri compagni, Buffoni ha guidato l’Unione dalla C alla B. Ascagni un talento mattocchio quanto si vuole ma col pallone pareva un sudamericano. Si divertiva a far segnare l’amico De Falco, svelto a mangiare la merenda a tutti i difensori. Ha segnato 25 gol nel campionato di serie C vinto e il record resiste ancora. Lui adesso porta gli occhiali e non scatta neanche se deve prendere il tram. Chi potrà battere il suo record? Granoche ci ha provato, poverino, ma non ci è riuscito a causa dell’infortunio.
Subito dopo Ascagni per lanciare De Falco ancora in cerca dei gol arrivò Francesco Romano dal Milan. Con i postumi di un brutto infortunio, Romano voleva farsi ricordare come un numero 10 capace di fare tanti gol. Pian piano capì che il suo ruolo era quello di organizzatore, vero numero 8, e cominciò a far girare il pallone con maestria pari alla velocità. Lo definimmo un Dino Sani degli Anni 90, durò poco a Trieste perchè urgeva al Napoli avere un cervello a centrocampo. Il Napoli di Maradona, Giordano e Carnevale che vinse il suo primo scudetto.
Poi l’onta del fallimento e la risalita dalle serie inferiori. Nomi mitici da proporre non ve ne sono tanti, il gioco è cambiato, l’abilità dei piedi ha lasciato spazio al fisico, il dribbling ha ceduto il posto al cozzo fisico. Tuttavia negli ultimi anni non si possono dimenticare goleador come Mirko Gubellini e Denis Godeas. E aspettiamo Granoche.
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