Quel giorno in barca del Nobel Modigliani tra regata e Maastricht
TRIESTE Franco Modigliani alla Barcolana di Trieste con indosso una semplice giacca a vento verde mentre mostra una copia del Piccolo. É la foto-ricordo di un giorno di sole e vento di vent’anni fa in cui l’unico italiano premio Nobel per l’economia partecipa alla regata a bordo di un motoscafo invitato dalle Assicurazioni Generali. Cortesie necessarie per una città che vuole restare in contatto con le migliori intelligenze, non necessariamente “triestine”. In quella domenica d’ottobre del 1997 ancora una volta migliaia di barche a vela si sfidano in mare aperto sotto un cielo nuvoloso e improvvise schiarite di sole: «È una metafora della corsa per entrare in Europa», dice Modigliani. Maastricht all’epoca è un traguardo vicino ma ancora incerto: «Non c'è dubbio - disse profetico nell'intervista che ci concesse quel giorno - l'Italia entrerà in Europa». Modigliani parla mentre si sentono i colpi a salve dei cannoncini che danno il via alla competizione. Ha appena compiuto ottant’anni e sprigiona l’entusiasmo di chi partecipa a un evento unico. Noi si comincia a soffrire il moto ondoso.
Modigliani, quel giorno, si concentra sulla situazione dei conti pubblici e su due temi che lo interessano da sempre: la previdenza italiana a rischio di collasso e la sfida dell'Italia per entrare in Europa. L'economista italo-americano polemizza e riflette sulle vicende italiane. Definisce le pensioni d'anzianità «uno scandalo, un furto che i ricchi fanno a spese dei poveri». Per il Modigliani di quei giorni il rigore finanziario è l’unico strumento consentito all’Italia per guadagnarsi l’ingresso nella moneta unica ma sono soprattutto le pensioni a preoccuparlo: «Se non si cambia il sistema previdenziale fra 50 anni -ammonì- l'Italia rischia di morire di fame.
È un sistema che non esiste al mondo in cui la gente va in pensione ricevendo molto di più di quello che ha pagato. Ma siccome è un imbroglio ti danno il diritto di imbrogliare gli altri». Figuriamoci cosa direbbe oggi di fronte a un deficit al 2,5% (addio Maastricht) e una norma che probabilmente consentirà a 400 mila italiani di andare in pensione anticipata a quota cento (età più contributi).
Il Nobel che guarda le barche gareggiare nel Golfo di Trieste divertendosi come un bambino già in quei giorni descriveva un Paese al bivio fra modernizzazione e disastro. Modigliani era nato a Roma in una famiglia dell'alta borghesia ebraica da secoli nella capitale. Il padre Enrico era un noto pediatra che lo aveva lasciato orfano a 14 anni: «Ricordo di lui solo a sprazzi. Fu quello l'unico trauma della mia infanzia», racconta nella sua autobiografia «Le avventure di un economista» a cura di Paolo Peluffo. Aveva lasciato l'Italia a vent'anni dopo l'emanazione delle leggi razziali annunciate proprio a Trieste. Ed è immaginabile che nella sua giornata triestina in mezzo al mare e al vento abbia dedicato un pensiero anche alla sua storia familiare drammaticamente segnata dall’annuncio del Duce in quella città «struggente e magnifica».
Nel luglio del 1939 Modigliani è costretto a fuggire da Roma con la moglie Serena. Prima a Parigi e poi a New York. Per Modigliani il soggiorno di una vita negli Stati Uniti è sempre stato un esilio. Al Piccolo, in quell'intervista, navigando nel Golfo triestino, completò la sua metafora sull'Europa e l'Italia con un monito: «L'insegnamento che proviene dalla corsa per l'Europa dovrebbe estendersi anche a molti altri aspetti della vita». Concetti già espressi da un triestino di rango, che non a caso si considerava suo discepolo, Tommaso Padoa-Schiopppa. —
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