«Quanti scherzi fra lui e Berger e quella vacanza insieme....»

L’INTERVISTA
MAURO CORNO
AMonza, nel 2017, Ercole Colombo ha festeggiato il 700esimo Gran premio di Formula 1 vissuto da fotografo. I suoi scatti hanno fatto il giro del mondo: tra i soggetti, naturalmente, Ayrton Senna, al quale ha anche di recente dedicato una splendida mostra.
Che persona era il brasiliano?
«Era un ragazzo dalla grande personalità e che sapeva ciò che voleva. Sperava di arrivare al livello di Juan Manuel Fangio, se non addirittura di battere il record dell’argentino di cinque campionati del mondo vinti. La famiglia lo ha sostenuto, anche economicamente, e lui ci ha messo tanto del suo. È andato fortissimo fin da subito con i kart: in curva recuperava mettendo la mano sul carburatore per arricchire la miscela e avere più sprint in rettilineo. Per quanto riguarda la velocità era un figlio di Dio».
Ed era anche molto devoto.
«Quando vado in Brasile mi reco sempre a San Paolo, al cimitero di Morumbi nel quale riposa Ayrton. La sua è una tomba semplicissima, in un luogo molto particolare: ci sono tante collinette su cui sono posizionate le lapidi. “Niente mi può separare dall’amore di Dio” c’è scritto sulla sua, che ogni giorno viene visitata da decine e decine di persone».
Una volta siete andati in vacanza insieme.
«Ci trovammo per caso sulla barriera corallina posizionata tra il Giappone e l’Australia. Eravamo nel 1990. Una situazione particolare, perché nello stesso albergo c’era anche Alain Prost, con cui era successo di tutto poco tempo prima, con lo scontro di Suzuka che aveva rappresentato la resa dei conti dopo un’annata ad alta tensione. Il francese era con i suoi connazionali, con Ayrton invece c’era un bel gruppo di italiani, tra cui anche il pilota Pierluigi Martini. Giocavamo a pallavolo sulla spiaggia e il brasiliano si allenava con costanza pensando già alla stagione successiva. Si vedeva che aveva ancora adrenalina in corpo, però pian piano è andato rilassandosi: sorrideva, faceva scherzi».
Ci racconta il lato divertente di questo campione?
«Lui era molto amico del mio collega Angelo Orsi, però anche con me si trovava bene. Quando nel 1985 ha vinto il Gran premio del Belgio, a Spa, io mi ero collocato sotto al podio, ma in una posizione defilata, perché avevo in mente di fargli delle fotografie un po’ diverse dal comune. Quando se ne è accorto, ha cercato di spruzzarmi lo champagne sull’obiettivo. E continuava a ridere, mentre io gli dicevo “Non mi prendi” e continuavo a scattare. In coppia con Gerhard Berger, poi, si superava».
I due furono compagni di squadra in McLaren tra il 1990 e il 1992.
«Erano molto affiatati. L’austriaco, che era un ottimo pilota, sapeva benissimo che il brasiliano era un fenomeno: c’era grande rispetto tra i due ma anche la voglia di prendersi in giro reciprocamente non mancava. Un giorno, mentre stavano atterrando in elicottero, Berger lanciò la valigetta personale di Senna giù dal velivolo: i documenti di sparsero per un raggio di un chilometro e non fu facile raccoglierli tutti. Ma poi arrivò la reazione del brasiliano».
Dica…
«Senna, non si sa come, riuscì a sottrarre le carte di credito di Berger e le incollò tutte insieme, per poi bucarle con un trapano: divennero inutilizzabili e l’austriaco fu costretto a farsi prestare i soldi per qualche giorno. Un’altra volta, invece, quando Berger era già alla Ferrari, Senna si presentò alla sua festa di compleanno e anziché mangiare la fetta di torta, la tirò in testa all’amico tra le risate. Altri tempi davvero».
Senna, un grande uomo, un grande pilota…
«Una persona vera, capace anche di ammettere i propri errori. E qualcuno lo ha commesso anche lui: per esempio a Monza nel 1988, quando entrò in contatto con Jean-Louis Schlesser e si dovette ritirare, dando così alla Ferrari la possibilità di centrare una storica doppietta con Gerhard Berger e Michele Alboreto a poche settimane dalla morte del Drake Enzo. E nel 1988 la McLaren, con lui e Prost, vinse tutte le gare, tranne quella. Ricordo anche quando a Monte Carlo, lo stesso anno, Ayrton andò a sbattere contro le barriere del “Portier” e si ritirò quando aveva il Gran premio già in tasca. Scese dalla macchina e non tornò ai box: andò a piedi direttamente a casa sua, che era a poche decine di metri dal luogo dell’incidente. Era un’altra Formula 1». —
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