Quando Mura a Monfalcone svelò la sua passione per la geografia
MONFALCONE Tegucigalpa? Dell’Honduras. Gaborone? Del Botswana. Si poteva andare avanti per ore a interrogarlo sulle capitali ma con uno come lui due indizi bastavano a fare una prova. Gianni Mura aveva un rapporto speciale con la geografia ma questa sua passione non era nota quando fu invitato dal Comune di Monfalcone a partecipare, nella serata d’esordio, alla prima edizione del festival Geografie.
Forse per questo dalla mail con cui timidamente si chiedeva una sua disponibilità di massima a venire a Monfalcone al momento della ricezione della risposta non trascorse nemmeno un’ora. Fissò il giorno: il tre ottobre 2019, un giovedì. È una data speciale e ora è diventata anche altro.
La morte improvvisa dello strepitoso giornalista de La Repubblica, avvenuta sabato mattina, è stato come subire un gol in contropiede all’ultimo minuto dopo aver agevolmente controllato la partita.
Quel giovedì tre ottobre 2019 è entrato in quella sorta di anticamera della storia che sono i ricordi personali più cari. È stata la sua ultima uscita pubblica in regione.
Speriamo che se lo ricordi il Comune di Monfalcone e dedichi a Gianni Mura un premio di giornalismo o qualcosa di simile. Non siamo sicuri che gli sarebbe piaciuta l’idea, ma siamo certi che senza di lui il giornalismo sarà un’altra cosa.
Al festival Geografie parlò a ruota libera e il tema da lui scelto per la serata era tutto un fuori programma: “Non sono mai stato in Oceania”. Un fuori programma, ma non un’improvvisazione, fu il secondo tempo della serata.
Pretese un patto a chi l’aveva invitato a cena: tu paghi i pasti, io il vino. Quattro commensali (tra i quali Giovanni Galeone), sette bottiglie. Mura assume la regia della mescita a seconda delle portate. Tra una e l’altra la richiesta della spiegazione del piatto, della provenienza degli ingredienti, del tipo di preparazione. Sui vini si procede più spediti, non c’è dibattito, volentieri concede la spiegazione della scelta.
Nemmeno una goccia macchia la tovaglia. E qualche settimana dopo, sul Venerdì di Repubblica, la gratificante recensione del locale.
Mura non pretendeva gettoni di presenza né rimborso spese. A Monfalcone alloggiò all’Europalace e quando gli fu raccontata la storia che l’edificio era stato l’albergo per gli impiegati celibi del cantiere non mollò la presa fin quando ebbe chiara la storia della città.
Gli articoli di Gianni Mura, le sue rubriche, le sue interviste a personaggi veri o immaginati, il suo giocare con le parole per rendere omaggio al significato delle stesse sono state lezioni indispensabili per la crescita di tanti colleghi.
Una sorta di corso di aggiornamento prima dell’avvento dei corsi obbligatori che, spesso, disorientano più che aggiornare i mestieranti di una certa età. Nel ricordarlo qualcuno ieri ha scritto che lui era il primo ma sapeva mettersi all’ultimo posto.
L’umiltà è stata la sua cifra e in forza di questo anche il più umile dei cronisti di periferia trovava in lui un attento ascoltatore. Bastava parlare poco, venire al sodo della questione. Lo spessore professionale di Mura è stato ampiamente raccontato, non ha lasciato eredi ma tanti orfani.
Montagne di articoli, qualcuno sarà sfuggito, ma chi aspettava la domenica per i suoi cattivi pensieri sa bene dove andare a pescare le gemme più lucenti.
Narratore di sport, ciclismo e calcio, ma non solo. Tanto per restare in zona vale la pena ripescare l’intervista che Mura fece nel maggio del 2000 a Luigi Del Neri che alla guida del Chievo aveva appena firmato la promozione in serie A. “Il miracolo-Chievo” si scrisse all’epoca abusando della parola miracolo, un termine che andrebbe evitato in un Paese dove è in essere il Concordato con il Vaticano. Dunque, Del Neri. Lunga intervista, gradevole paginata su La Repubblica. Si parla di calcio, dei moduli, dei giocatori, del tecnico. In chiusa Del Neri fa riferimento ai valori lasciati in eredità dai suoi genitori e accenna a un fiore che chissà come è spuntato sulla tomba di mamma e papà proprio nei giorni della promozione in serie A.
Affidato alla sensibilità di Gianni Mura quel particolare è diventato poesia e in almeno un lettore ha lasciato un segno indelebile.
Non solo sport. Articolo memorabile quello che Mura firma il 16 marzo 1997. L’attacco è fulminante: «È una storia di puzza. È una storia che puzza. E dura da dieci anni».
Come Gianni sia arrivato a Firmano, frazione di Premariacco, non si sa. Ma certo, al tempo, quel paesetto era circondato da cloache a cielo aperto ricolme di rifiuti chimici. La lettura è illuminante. Mura raccoglie nell’unico bar del paese una ventina di residenti. Ciascuno racconta la sua battaglia contro la puzza, il bruciore agli occhi, la difficoltà di respirare, gli animali che muoiono stecchiti, la verdura che ha il sapore della plastica. Scrive quattro cartelle che sono acqua cristallina per chi cerca di dissetarsi nel giornalismo più autentico, quello con pochi aggettivi e con tante domande. Dopo ventidue anni si ricordava benissimo della vicenda di Firmano, citò anche un paio di nomi di intervistati. Perché a Mura le storia prima di scriverle gli entravano dentro.
Ora a Firmano non c’è più puzza, a meno che si sappia. Di quella vicenda è rimasta una pagina ingiallita de La Repubblica da rileggere ogni volta che non ci torna qualcosa in quello che leggiamo o sentiamo.
E senza Gianni Mura ora sarà più difficile fiutare la pista della verità. —
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