Podini: “Pallamano Trieste, bentornata nella serie A Gold”
Il presidente della FederHandball saluta la meritata promozione: «Tradizione, pubblico e passione: valore aggiunto riavere questo club in Gold»

Per fare grande uno sport servono grandi piazze, tradizione, investimenti, bacini d’utenza. Quest’ultima, non è una brutta parola: significa pubblico, seguito, passione. Come quella riversata dai tifosi al seguito della Pallamano Trieste a Belluno in pullman e con mezzi propri per il punto promozione conquistato sabato. Lo sa bene Stefano Podini, presidente da giugno scorso della FIGH, la Federazione italiana di Pallamano, che saluta il ritorno del club più titolato d’Italia con il giusto entusiasmo di chi, dovendo gestire un intero movimento, riconosce che, dopo la dolorosa retrocessione, a Trieste e ai triestini la Serie A Gold è mancata, ma che è vero anche il contrario: non può esistere massima serie italiana senza chi ne ha scritto pagine storiche ed ha un seguito di pubblico con pochi eguali in Italia.
Presidente Podini, chi è mancato di più, Trieste alla Gold, o il contrario?
Sono due punti che si equivalgono. Trieste manca sicuramente alla A Gold perché è la squadra più blasonata d’Italia e riaverla nella massima serie è importantissimo. Tutti sanno che in qualsiasi decennio nessuno va a Trieste pensando di vincere facile. Al PalaChiarbola bisogna sudare sette camicie a prescindere dalla classifica, perché chi veste quella maglia è testimone di una tradizione. Poi vengono il seguito ed il calore: al pubblico e agli appassionati darà un grande stimolo tornare a competere nella massima serie in uno sport che ha dato rilievo sportivo a Trieste.
C’è poi la gioia dell’ex. Lei a fine carriera ha giocato e vinto uno scudetto qui. Che ricordi ha?
Indelebili. Non fu una lunga militanza, ma un momento di cui vado molto fiero: arrivai a fine gennaio 1993 per la seconda parte del campionato dopo che la squadra venne decimata dalle squalifiche in una partita con Conversano e “il prof” Giuseppe Lo Duca era andato a cercare giocatori per ovviare all’emergenza. Non so perché altri dissero di no, ma io avevo voglia di giocare ancora. Avevo smesso da poco e iniziato a lavorare a Milano dopo il mio ultimo anno a Bolzano, potevo essere a Trieste solo dal giovedì. Mi disse: allenati dovunque tu sia e poi vieni che ci servi.
Un legame quindi non solo sportivo ma anche umano.
Ho grandi amici a Trieste, come Claudio Schina, Furio Scropetta e ovviamente Giorgione Oveglia, con cui siamo ancora amici. Ho un ricordo bellissimo di uno spogliatoio che portava un grande spirito, lo stesso che ho rivisto nel Bolzano che ho guidato e nella nazionale ai mondiali.
Che serie A troverà Trieste al suo ritorno?
Una Serie A molto piatta nelle prime 6-7 posizioni con la sesta a due punti dalla prima. Quindi un livello non altissimo, con delle giocate interessanti, ma che ha tanto su cui lavorare: è una lega che vuole crescere dal punto di vista tecnico, io ho le mie idee ma questo certo non dipende dalla federazione, piuttosto dalle squadre, cosa vogliono fare e come vogliono gestire gli allenamenti.
Cosa si sente quindi di suggerire?
I mondiali ci hanno insegnato che almeno il 35% lo devi fare sulla preparazione fisica. Per correre quanto gli altri bisogna allenarsi, allenarsi, allenarsi. Quando sono andato a ingaggiare a Bob Hanning (il nuovo allenatore della nazionale di pallamano, ndr) sono stato a vedere come si allenano le Füchse Berlin. Corrono come pazzi, soprattutto in fase di preparazione atletica. Noi recentemente ai mondiali abbiamo fatto vedere che la preparazione tecnica di Prantner (poi finito a giocare a Berlino) e Mengon non è da meno degli altri, ma ci manca la fisicità. Il tutto supportato dalla testa, perché il mental coaching è fondamentale.
Oveglia ha detto che Trieste può migliorare con poco. Magari un paio di terzini stranieri. Qui invece vediamo il contrario, sono i nostri a emigrare. Come si conciliano le esigenze?
Serie A e nazionale devono andare in parallelo. La lotta che io ho fatto con la precedente gestione federale è quella di esportare i giocatori per farli crescere. Tutte le nazionali al nostro livello hanno i giocatori forti fuori, le stesse Portogallo e Croazia hanno due squadre forti, non venti. Parallelamente dobbiamo alzare il livello interno. Con la preparazione fisica, il mental coaching e la selezione di stranieri che abbiano voglia di cimentarsi qui. La strada da seguire credo sia questa. Un modello? Ci sono club di nuoto che si allenano la mattina presto, poi mandano gli atleti a lavorare, poi fanno un richiamo più tardi. Bisogna professionalizzarsi anche senza professionismo, in questo modo potremo essere protagonisti di una crescita di questo sport mai vista prima. —
Riproduzione riservata © Il Piccolo