Papà presidenti-figli giocatori «Tra noi non si parla di calcio»

Goran Kocman (Kras) e Andrea Disnan (Sistiana) svelano le criticità del loro ruolo
Il biancorosso: «Troppe malelingue su Ivan». Il delfino: «Marco? Uguale agli altri»
Goran Kocman, presidente del Kras Repen
Goran Kocman, presidente del Kras Repen

TRIESTE Come si vive in famiglia il rapporto tra un papà presidente e il figlio calciatore? Nel mondo del calcio dilettantistico triestino, attualmente, sono due le società che possono rispondere a tale quesito. A Monrupino quando parli di football emerge sempre un cognome: Kocman. Goran è il carismatico presidente del Kras Repen, che da cinque anni, oramai, vanta la presenza in Prima squadra del figlio, oggi 21enne: Ivan. Rimanendo sul Carso, ma spostandosi di qualche chilometro verso Ovest, a Visogliano c’è il secondo caso di papà presidente e figlio giocatore. Sono i Disnan – Andrea il presidente, Marco il giocatore – capisaldo del Sistiana Sesljan.

Presidenti, quanto e come influisce essere il figlio del “pres”?

Kocman: «Pesa in maniera negativa. Le malelingue ci sono e ci saranno sempre. Io negli anni oramai mi sono abituato e non ci faccio nemmeno più caso. Credo però che a Ivan non siano indifferenti, perché ho notato che quando gioca in casa ha addosso una tensione maggiore rispetto a quando scende in campo in trasferta». Disnan: «Non ho mai riscontrato grandi problemi nell’ambiente quando c’era mio figlio Davide, e nemmeno ora che abbiamo Marco. Sicuramene non esistono favoritismi».

Una volta finita la partita parlate mai delle prestazioni della squadra a casa?

K.: «In famiglia di calcio non si parla. Però se Ivan fa una bella partita mi pare giusto farglielo notare. Quando invece è protagonista di una prestazione meno brillante non gli dico nulla anche perché so che è un ragazzo molto autocritico, quindi non servirebbe rimarcarglielo».

D.: «Da noi vige una regola: mai parlare delle partite. Non serve a nulla e anzi, si rischia di camminare su un campo minato che è assolutamente meglio evitare…».

Non ha mai dato “suggerimenti” all’allenatore?

K.: «Non ho mai imposto scelte tecniche agli allenatori riguardo i giocatori, tanto meno se queste coinvolgevano mio figlio. Non è nella mia natura. Ivan si è sempre fatto strada da solo».

D.: «Con i tecnici non parlo mai di scelte tecniche. Però vedo che il nostro allenatore spesso va in difficoltà perché teme di compiere una scelta sbagliata, sia ne bene che nel male, decidendo magari di mettere in panchina oppure titolare Marco. Non è una situazione facile per lui e mi spiace».

Il proprio figlio è un calciatore come tutti gli altri?

K.: «Ivan ha sempre svolto il suo percorso calcistico in totale autonomia. Un anno ha anche preferito spostarsi di club e scendere di categoria. Per me, in campo, è uguale a tutti gli altri. Ciò che conta per me è il Kras Repen, inteso come club e squadra».

D.: «Io devo pensare al bene della società il che significa pensare sempre al plurale. Marco è un giocatore come gli altri. Scatta l’istinto paterno solo in caso di infortunio: se lo vedo soffrire e ovvio che l’apprensione sale maggiormente, ma credo sia umano, no?».

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