Papà Doncic a Valmaura e quel piccolo Kobe a Chiarbola
Domenica scorsa nel Dome griffato azzurro Allianz, per vedere la sfida con la Juve del nostro basket, siede accanto a me un omaccione di oltre due metri con un suo amico che mi presenta come l’ex presidente della Pallacanestro Trieste. «Piacere, sono Sasa Doncic».
Per la stretta di mano mi alzo in piedi. Il papà di Luka, quello che viene considerato oggi come il miglior giocatore europeo che milita nella Nba, merita considerazione, rispetto e un pizzico di invidia. Sarò venale, ma non è da tutti avere un figliolo che a 19 anni ha appena firmato un quadriennale da 27 milioni di dollari con i Dallas Mavericks. Un talento che ha iniziato col basket a 6 anni ed esordito a soli 16 nella prima squadra del Real Madrid e che appare destinato ad una carriera - penso subito, chiacchierando con Doncic senior nell’intervallo del match - molto simile a quella di Kobe Bryant !
Nel mio inglese scolastico parliamo di suo figlio, ma soprattutto della Trieste che ha visto nel primo tempo. Sasa, anch’egli cestista e nazionale sloveno in gioventù, chiede subito quanti stranieri possiamo schierare e quanti italiani giocano. Assieme al neo arrivato Cervi, ne vedrà in campo solo due, i triestini Cavaliero e Coronica. Scuote il capo, ma diplomaticamente non aggiunge altro. Non posso non pensare a quanto tempo impiegheremo per tornare a vincere un campionato europeo come ha fatto la Slovenia di suo figlio, se la nostra nazionale continuerà ad avere un serbatoio di talenti così piccolo.
A fine gara ci salutiamo. «Ma tornerò a vedere Trieste mi assicura». Lubiana, la città dove vive, è dietro l’angolo. «E la prossima volta - aggiunge - vedrò una squadra migliore, son sicuro. Oggi avete giocato senza play (ndr, allude a Hickman!), ma fra un po' tornerà in forma…»
Il tempo di rientrare a casa e ricevere sul telefonino le prime notifiche dei siti americani che ci raccontano di un elicottero schiantatosi sulle colline attorno a Los Angeles, con a bordo Kobe Bryant. L’avevamo evocato solo un paio d’ore prima, proprio mentre ci lasciava un’icona della pallacanestro planetaria che il mondo intero non smetterà mai di piangere. E allora riaffiora quel ricordo, di oltre trent’anni fa, quando mi colpì quel bimbo di colore che, forse a 6 anni di età, tirava a canestro (segnando sempre!) sul parquet di Chiarbola, proprio davanti alla mia postazione di telecronista.
Aspettava che papà Joe uscisse dagli spogliatoi dopo aver finito di giocare contro la Trieste di allora, con la maglia di Rieti. Nel nostro piccolo, fatta riposare questa settimana la Palla che legge il futuro e non certo il passato, ci piace ricordarlo così. —
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