Pallacanestro Trieste, la gioia di Colbey Ross dopo il rinnovo: «Un privilegio continuare qui»

Il play americano si racconta, celebrando il prolungamento di contratto con i biancorossi: «Ad Arcieri devo tutto. Il dualismo con Ruzzier? Rapporto eccellente, ci diamo sempre consigli»

Filippo Errico Verzè
Colbey Ross, playmaker della Pallacanestro Trieste (Foto Bruni)
Colbey Ross, playmaker della Pallacanestro Trieste (Foto Bruni)

Ross, cosa significa per lei poter continuare per altri due anni l’avventura qui a Trieste?

«Mi sento alla grande. Per me è un privilegio trovarmi in una squadra come questa, un’organizzazione eccellente con persone fantastiche. Mi fido ciecamente di Mike (Arcieri, ndr), mi ha messo nel contesto ideale per giocare al meglio nei prossimi anni, anche grazie a un pubblico meraviglioso».

Gli ultimi giorni per lei non sono stati banali: prima della firma del rinnovo con la Pallacanestro Trieste, domenica è rientrato in campo contro Napoli dopo due mesi dall’infortunio al pollice. Come si è sentito quando lo speaker del PalaRubini ha annunciato il suo ingresso sul parquet?

«È stato qualcosa di incredibile, mi sono sentito apprezzato come non mai sia dalla squadra che dai tifosi: il loro applauso dopo lo 0/4 iniziale ai liberi mi ha aiutato tantissimo, dandomi l’energia e la convinzione giusta per giocare come ho sempre fatto. Sentire la loro fiducia vuol dire tutto per me».

Quando ha rimesso piede in campo, più che i quattro liberi sbagliati, ha colpito il modo in cui se li è presi, attaccando il ferro con decisione e accettando il contatto, con De Nicolao prima e Zubcic poi. Voleva dimostrare subito che l’infortunio era cosa passata?

«Esattamente. Ho lavorato duro due mesi per rientrare e non voglio certo cambiare il mio modo di giocare, tenendo il ritmo alto e attaccando il canestro non appena si apre un varco nella difesa avversaria».

Alla fine ha chiuso con 11 punti e 8 assist, gestendo il minutaggio. Una prestazione convincente, con cui ha ripreso subito il discorso interrotto a febbraio nella gara contro Tortona, sua ex squadra: come ha vissuto questi due mesi di stop forzato?

«Devo dire che la squadra, anche senza di me, ha fatto un ottimo lavoro, mantenendo un livello di gioco elevatissimo: così ho potuto concentrarmi solo e soltanto sul mio recupero, senza pensare ad altro. Questo mi ha aiutato e non poco. Questo, e un’altra cosa…».

Cosa?

«Stare con la mia famiglia. Quando hai un infortunio così, inizi a vedere tutto nero, è inevitabile. Però poi, quando tornavo a casa dalla sessione di riabilitazione e vedevo il sorriso di mio figlio (nato lo scorso luglio, ndr), tutto passava. Diventando papà, mi sento come se avessi uno scopo nuovo nella vita. Capisci che, in fondo, il basket è solo un gioco e ci sono cose più importanti. Mi godo ogni momento, aspettando che non ci voglia molto prima che mio figlio possa vedermi giocare».

Come diceva prima, la squadra ha reagito al meglio nonostante la sua assenza, su tutti Ruzzier: come vede il dualismo con Michele?

«Ho un rapporto eccellente con lui, ci diciamo tutto: cosa vediamo in campo, come gestire un possesso, siamo sempre pronti a darci consigli. È stupendo vederlo così in fiducia, ma non è una sorpresa, sappiamo tutti di cosa sia capace. Non so quante squadre in Serie A possano vantare due guardie del nostro livello».

A chi si ispira di più come giocatore?

«Uno su tutti, Damian Lillard. Intanto perché, come me, ha frequentato un college al di fuori delle divisioni più prestigiose della Ncaa, ovvero Weber State (Ross invece è andato alla Pepperdine University, ndr). Il suo percorso nel mondo del basket, quindi, è sempre stato una fonte d’ispirazione. Sono cresciuto guardando meravigliato quello che faceva in campo e come non badasse mai al peso enorme che portava sulle spalle, quello di dover sempre dimostrare qualcosa in più degli altri».

Damian Lillard, oggi ai Milwaukee Bucks, qui con la canotta dei Portland Trail Blazers (Foto Ansa)
Damian Lillard, oggi ai Milwaukee Bucks, qui con la canotta dei Portland Trail Blazers (Foto Ansa)

Qual è invece il suo rapporto con il gm Michael Arcieri?

«È uno di famiglia, ormai. Mike è una bellissima persona e in questi anni abbiamo costruito un legame fortissimo. So che pensa sempre a fare la cosa migliore per me, ha davvero a cuore il mio successo e ci tiene che io migliori di anno in anno».

Si può dire che sia lui la figura chiave della sua carriera?

«Sicuramente è tra le persone più importanti in assoluto. In fondo è stato lui a scoprirmi quando giocavo in Repubblica Ceca nel Nymburk (nel 2021-22, quando Colbey vinse il titolo nazionale, ndr). Al termine della stagione, mi cercò e mi chiese di fare una chiamata su Zoom per conoscerci meglio. Poi ci rivedemmo il luglio successivo alla Summer League Nba, a cui partecipai con i Portland Trail Blazers. Non si perse una partita, voleva a tutti i costi che fossi io il playmaker della Varese che stava costruendo».

Ross e il gm Arcieri, dopo l'ultimo successo al PalaRubini con Napoli (Foto Bruni)
Ross e il gm Arcieri, dopo l'ultimo successo al PalaRubini con Napoli (Foto Bruni)

E quell’anno con la Openjobmetis, il suo impatto fu come quello di una cometa che illuminò tutta la Serie A, vincendo sia il premio di Mvp che di Giocatore Rivelazione. Cosa le manca per tornare a quel livello e magari superarlo?

«Numeri alla mano, so che il mio rendimento qui è stato inferiore rispetto a Varese. C’è da dire pure che con Trieste ho un ruolo e compiti diversi, ma questo non vuol dire che non voglia smettere di lavorare sul mio gioco, di portare la mia carriera a nuove vette».

Il gioco di Christian, però, non è troppo diverso da quello proposto da Brase a Varese, no?

«Certo, e questo mi aiuta. Jamion mi mette nelle condizioni migliori per giocare veloce, aggressivo, buttarmi al ferro e gestire il ritmo a mio piacimento. L’esperienza passata con Brase mi ha permesso di adattarmi velocemente alla nuova realtà».

A proposito di Christian. A fine anno anche lui, come Brase nel 2023, tornerà negli Stati Uniti, dopo aver accettato il ruolo di head-coach della Bryant University. Come valuta la sua scelta?

«Non posso che augurargli il meglio, sono sicuro che lì avrà successo. A Trieste ha fatto un lavoro incredibile, ma comprendo bene la scelta di tornare negli States per stare più vicino alla famiglia. Il suo addio, per noi giocatori, rappresenta però uno stimolo in più: vogliamo fare qualcosa di speciale in questa stagione, per salutarlo come si deve».

Jamion Christian, coach della Pallacanestro Trieste (Foto Ciamillo/Lasorte)
Jamion Christian, coach della Pallacanestro Trieste (Foto Ciamillo/Lasorte)

Adesso ci sono dei playoff da conquistare…

«La corsa alla post-season è serratissima e dobbiamo ragionare una gara per volta. Non ci sono alternative, ma abbiamo grande fiducia nel nostro potenziale. E una volta entrati tra le prime otto, l’obiettivo è arrivare fino in fondo. Possiamo farcela, ne sono certo, e sarebbe qualcosa di storico per la città: il solo pensiero mi elettrizza».

Appunto, una gara per volta. A partire dal derby con la Reyer Venezia di domenica. Qual è il suo messaggio ai tifosi?

«Sarò sempre grato di poter giocare davanti alla gente di Trieste e io, come il resto della squadra, siamo carichissimi per la sfida del Taliercio. Da qui a fine stagione avremo bisogno del supporto di tutti: ci darà una mano enorme a portare a termine il nostro compito».

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