Morto a 86 Luciano Miani l’indomabile “Giaguaro” sui campi di baseball e rugby

Ugo Salvini / TRIESTE
Il “Giaguaro” ha fatto l’ultimo passaggio. Il mondo dello sport triestino ha perso qualche giorno fa uno dei suoi esponenti più eclettici e longevi, Luciano Miani, protagonista per più di mezzo secolo sul palcoscenico di due discipline che hanno poco in comune, il baseball e il rugby, ma che lui ha amato in ugual misura.
Nato nel 1934, Luciano si innamorò del baseball nell’immediato dopoguerra, ammirando, con gli occhi entusiasti di un ragazzino, i militari statunitensi e neozelandesi di stanza in città, che giocavano questo sport semi sconosciuto a Trieste.
Nella stessa epoca nasceva la sua passione per il rugby, disciplina che ha praticato quasi fino alla fine, e per la quale coltivava un amore incondizionato. «Ricordo i miei esordi in campo – ha detto ieri Andrea Boltar, giocatore, allenatore e dirigente molto apprezzato nel mondo della palla ovale – quando il Giaguaro era già un personaggio, coinvolgente, capace di catalizzare l’attenzione di tutti in campo e sempre pronto al cosiddetto terzo tempo». «Più recentemente – ha ricordato ancora – in occasione dei campionati europei master che organizzammo qualche anno fa a Prosecco, lui scese in campo rifiutando di indossare i pantaloncini color porpora, riservati ai giocatori più anziani e che garantiscono, per regolamento, l’esenzione dall’essere placcati». «Ebbene – ha concluso Boltar – lui volle partecipare, affrontando l’impegno agonistico con lo stesso ardore di quelli più giovani, rinunciando a quello che poteva essere un vantaggio, scegliendo ancora una volta di andare in mischia a viso aperto».
Lunghissima la militanza di Miani anche nel baseball, dove ha allenato fino a pochi anni fa, in serie B con lo Staranzano. «La proposta di questa società mi ha subito allettato – evidenziava – e mi trovo benissimo. Dormo in un camper a pochi passi dal campo di allenamento, perciò respiro baseball notte e giorno». «Vengo a Trieste lo stretto indispensabile – confessava - perché voglio stare vicino a questi giovani giocatori e con la società abbiamo definito un bel progetto. Anni fa fui premiato come migliore allenatore italiano di baseball – concludeva – ma questa è un’altra storia».
Un segnale del suo carattere irriducibile lo aveva dato già a 17 anni. «Avevo problemi di salute – aveva ricordato in un’intervista – e andai dal medico, che mi prescrisse una caterva di farmaci. Appena uscito dall’ambulatorio gettai le carte in un cestino e andai a iscrivermi in una palestra di pugilato, altra disciplina che mi piaceva».
Alto 170 centimetri, poco più di un’ottantina di chili di peso, il Giaguaro era un peso medio perfetto. «Tiravo di boxe per il Crda di Monfalcone. Ho fatto molti sport – raccontava – come tuffi, sci, atletica leggera nelle specialità del lancio del disco e del peso, calcio, ovviamente baseball, ma nel sangue ho la palla ovale. Questo sport mi ha forgiato il carattere, disciplinandolo all’interno delle regole del gioco». Ha detto di lui Marino Bosdachin, noto personaggio del baseball locale: «Per tre stagioni, dal ’77 al ’79, fui un suo giocatore, imparando moltissimo grazie ai suoi insegnamenti. Voleva che tutti lo chiamassero il “Giaguaro”, evitando il nome di battesimo – ha sottolineato – e così sarà ricordato nella storia del baseball italiano, perché era un grintoso vincente». —
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © Il Piccolo