Melissano e Harland, i tecnici al servizio delle “mule”, raccontano i segreti della Triestina femminile

Guido Roberti

TRIESTE Un brano intramontabile, come tutti del resto, del grande Lucio Battisti si intitolava “con il nastro rosa”, raccontava le paure di un uomo nel convolare alle nozze con una donna, insicuro di conoscerne a fondo ogni aspetto del carattere.

Parafrasando il grande cantautore reatino, in quel passaggio diventato storia del nostro linguaggio comune, “lo scopriremo solo vivendo..” si svela la bella storia di calcio e di vita di due uomini, Fabrizio Melissano e Stefano Harland, innamoratisi senza titubanze del calcio femminile e da tre anni artefici, dopo anni vissuti nel maschile, della bella avventura chiamata Triestina, il primo con il ruolo di allenatore della prima squadra, il secondo come preparatore dei portieri. Quel nastro rosa che avvolge un pallone finalmente racconta di un mondo, il calcio al femminile, che sta trovando i suoi spazi, grazie ad un lavoro crescente alla base del movimento.

La Triestina, con le sue gioie e i suoi dolori sul fronte maschile, in questi anni è arrivata in serie C con la prima squadra femminile e ha avviato il settore giovanile, perché combattere i dogmi e i luoghi comuni è un sfida da vincere, un dovere di civiltà, e le parole del tecnico alabardato pronunciate alcuni mesi fa nello spogliatoio quando le sue mule si affacciarono sul verde del Rocco davanti a 1.000 spettatori, risuonano come inno.

«Ricordo benissimo la frase che dissi alle mie ragazze in spogliatoio. Dissi loro di non strafare, per dimostrare per forza agli altri che anche le femmine sanno giocare a calcio». Di quel avverbio “anche” non c’è bisogno. Va abolito dal dizionario. Il calcio femminile ha i suoi spazi di espressione, ed è sempre più apprezzato dal pubblico. Una grossa mano l’ha data il Mondiale in Francia di alcuni anni fa in cui l’Italia arrivò ai quarti di finale. Di fronte a vecchi e nuovi sciocchi stereotipi, racconta Melissano, “le ragazze non soffrono questi aspetti, ma al tempo stesso non ignorano quella minoranza che parla per luoghi comuni”. Animo sensibile per entrambi, Melissano e Harland, hanno percorsi diversi e per altri aspetti identici. Fabrizio, classe ’85, ha intrapreso presto la carriera di allenatore. La vita, nel ’91 si oscurò per metà.

«A sei anni ebbi un distacco della retina a seguito di un trauma con un gancio elastico. Nonostante tre tentativi di interventi persi la vista da un occhio. In seguito lasciai il calcio giocato a un certo livello per allenare».

Stefano, dal canto suo, ha per vocazione l’insegnamento e la cura dei rapporti umani. «Sono operatore socio-sanitario per una cooperativa che si occupa di ragazzi disabili, per me un sogno realizzato. Sin da ragazzo ero sensibile a certe difficoltà, poter aiutare per lavoro è stata una scelta ed una ragione di vita. Se non fossi stato fortunato, avrei intrapreso il percorso da volontario”. Il lavoro di Harland è ancor più personale sul campo, come sempre capita tra preparatore e portieri, si instaura un rapporto molto diretto e sincero di confidenza. In generale, sul fronte degli stereotipi, sostiene Stefano “l’importante è non farsi mai influenzare dai pensieri o dalle parole altrui. Le persone sanno essere cattive su ogni argomento della vita, queste ragazze quindi devono essere tranquille di esprimersi liberamente, e il calcio femminile può contribuire ad aprire la mente a tanta gente”. Giunto in seno alla Triestina nella stagione 2019/2020, il fatto stesso di vestire i colori alabardati è per Melissano un sogno realizzato. Galeotta fu in questo caso quella chiamata di Cristina Fumis, la responsabile del settore femminile della Triestina, da sempre una prerogativa cara a Romina Milanese. Racconta il giovane tecnico l’aneddoto di quel pomeriggio.

«Ero già nella sede di una società dilettantistica che mi voleva affidare una squadra maschile quando mi arrivò la chiamata di Cristina. Il primo pensiero è stato quello di entrare in Triestina, il discorso maschile o femminile non mi toccò. Ho iniziato con l’Under 15 l’anno sospeso per pandemia, e ora siamo al secondo anno in prima squadra e ne sono felicissimo». C’è un luogo ricco di forza negli sport di squadra. Lo spogliatoio. Dove corrono i segreti di un gruppo, dove si condivide quello che accade dentro e fuori dal campo, con sincerità, perché lo spogliatoio è l’unico luogo dove lo scontro è incontro. «Nel mondo femminile ancora di più conta l’estrema sincerità nei dialoghi - riferisce l’allenatore – ma uno spogliatoio è uno spogliatoio, dove ci sarà sempre la ragazza che subisce gli scherzi, quella che non parla mai, quella che arriva sempre tardi».

C’è tanta passione nel gruppo della Triestina femminile. Tre allenamenti a settimana a Monfalcone e trasferte impegnative, nelle Marche o in Sardegna, in Emilia Romagna come in Trentino. La passione è fondamentale, del resto si tratta di ragazze che nella vita di tutti i giorni studiano o lavorano. Molte sono giovanissime. È bella da raccontare l’avventura di Ginevra, portiere che lo scorso anno si è trovata a confrontarsi egregiamente da titolare della squadra per l’intera stagione. Età, 15 anni. Una sfida intrigante per Stefano Harland. «Io ho un figlio, e da genitore separato ho vissuto la sua adolescenza in modo forte. Con una ragazza il rapporto va costruito, mi sono sempre posto con lei per quello che sono. Sentire nel tempo da questa ragazza che si è fatto un buon lavoro sul lato umano è la soddisfazione più grande». Forse proprio attorno alla più giovane del gruppo è fotografato il ricordo più forte ed emozionale del tandem Melissano-Harland. Partita contro il Padova. Harland: «Ginevra commise un errore e scoppiò in lacrime negli spogliatoi all’intervallo. Ricordo ora come allora l’abbraccio di tutte le sue compagne, il portiere talvolta rischia più di altri di sentirsi responsabile. Quella partita la rimettemmo in carreggiata, ma a prescindere dall’esito, la scena dell’abbraccio è qualcosa di inciso nella mente».

Conferma Melissano: «Confesso, quell’episodio mi toccò molto, essendo stato anche io portiere mi immedesimai. Vedere la coesione di quel momento del gruppo in spogliatoio è una delle mie maggiori vittorie. Anzi, sono queste le vere vittorie di un allenatore».

Forza mule dunque. Chissà il vocalmente burbero paròn Nereo Rocco con quale inimitabile battuta dialettale avrebbe accompagnato le gesta delle ragazze di casa nostra. Intanto, nello stadio che porta il suo nome, il sogno di poter rivedere l’Unione femminile, una realtà che merita di essere scoperta. Perché se Battisti inseguiva una libellula in un prato, il giorno che aveva rotto col passato, queste ragazze e questo staff, correndo dietro un pallone da calcio, stanno contribuendo a dare tanta fiducia e prospettiva a centinaia di bimbe e giovani ragazze pronte a tuffarsi nella meraviglia di questo sport. A mente libera, come dev’essere.

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