L’ombra della camorra sulla fine di Pantani
Marco Pantani, l'ombra della camorra dietro la sua fine. Solo un'ombra su cui investigare per ora, non un'ipotesi di reato concreta. Ma lo staff difensivo della famiglia, guidato dall'avv. Antonio De Rensis e sospinto da mamma Tonina Belletti, dopo essere riuscita a far riaprire le inchieste sul presunto complotto che sarebbe stato ordito ai danni del Pirata (Procura di Forlì-Cesena) e sulla sua morte (Procura di Rimini), che loro definiscono omicidio, punta a far entrare nell'inchiesta forlivese anche una macchinazione dei clan dietro le scommesse su Giro d'Italia, reato da antimafia.
Giuridicamente, se ci fosse qualche elemento concreto a disegnare quell'ombra sarebbe già stato mandato, per la loro valutazione alla Direzione distrettuale antimafia di Bologna, ma la Dda ancora non è toccata dal caso. Per ora è una suggestione investigativa basata su fatti tutti noti, e già passati al setaccio e archiviati dalla magistratura. Mamma Tonina non se ne dà pace. Da anni si batte per la sua verità: il suo Marco fu incastrato come ciclista e portato a morte non dalla cocaina di cui era diventato dipendente, ma ucciso da qualcuno che poi fece un'altra messinscena per nascondere il delitto. La sua è una missione. E questa missione sta tutta nel libro «In nome di Marco», che la madre scrisse con Francesco Ceniti e pubblicato da Rizzoli giusto un anno fa.
Nulla di inedito, insomma, negli atti che De Rensis ha portato all'attenzione di due procure. Che indagano sulle ipotesi costruite sulla doppia fine del Pirata, quella sportiva e quella terrena, dallo staff di De Rensis. Per ora, cioè, stanno verificando se ci sia qualcosa di solido. Non hanno detto ancora che ci sia. Non sono loro che sostengono, per ora, che Pantani a Madonna di Campiglio fu incastrato dalla camorra, che puntò a eliminarlo dal Giro d'Italia che avrebbe sicuramente vinto alterandone a dismisura il valore dell'ematocrito del sangue (a 51,9, contro un massimo di 50) per lucrare sulla vittoria di altri ciclisti. Come non sono loro a sostenere che Pantani fu ucciso in un motel. È la tesi di presunta parte offesa, e i due Pm hanno deciso di andare a vedere se ci sia o meno fondamento.
A Forlì c'è il possibile capitolo camorra. Renato Vallanzasca, il bel Renè che fu a capo della Banda della Comasina, in un libro sostenne all'epoca che, mentre era ergastolano a Opera (Milano), fu avvicinato da uno sconosciuto che gli disse di far parte di un clan e gli diede un “consiglio”: quello di puntare milioni di lire sui rivali di Pantani. «Non mi permetterei mai di darti una storta. Non so come, ma il pelatino non finisce la gara». Suggerimento insistito, anche mentre il Pirata dominava il giro. Il 5 giugno 1999, l'affondo: «Visto? Il pelatino è stato fatto fuori. Squalificato».
Quando lo sentì il magistrato che indagava su Campiglio, Bruno Giardina, pm a Trento - con Pantani all'epoca ancora parte offesa prima di finire indagato per frode sportiva (ma all'epoca l'ematocrito alto non era previsto come doping, e fu poi assolto) - Vallanzasca tacque. Come fece pure incontrando la signora Pantani, nel 2008. I Pm di Forlì per ora hanno riaperto il fascicolo archiviato a Trento per associazione a delinquere finalizzata a truffa e frode sportiva, e le relative minacce di cui sarebbe stato vittima Pantani. Hanno già sentito diverse persone, tra cui Tonina e il cronista Davide Dezan. Non è ancora stato sentito Vallanzasca. Non si sa se e quando, ma dovrebbe succedere a breve. Qualora emergessero prove di un “Giroscommesse” falsato da cosche di camorra con alterazione delle provette a Campiglio, gli atti andrebbero alla Dda.
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