La nuova frontiera del doping: il motore nelle biciclette
La nuova frontiera del doping non nasce in laboratorio. Non danneggia la salute. Non mette in pericolo una carriera. Ma froda i controlli e falsa i risultati. La nuova frontiera del doping è grande come un accendino, è tecnologia sofisticata che non si nota e non fa rumore. Sono i micro-motorini elettrici. Possono produrre potenza fino a 250 watt, nascosti nel telaio di una bici o meglio ancora nel mozzo di una ruota. Se ne parla da tempo, spesso mescolando i sospetti a sorrisi sarcastici. Il numero uno dei giornalisti di ciclismo, la prima firma dell’ Equipe Philippe Brunel non nasconde l’amarezza. «Non impariamo mai le lezioni. Ricordo le prime reazioni nell’ambiente quando iniziarono a diffondersi le voci sull’uso dell’Epo. Io ne scrissi nel 1990 sull’Equipe. Dovettero passare altri otto anni prima che, con lo scandalo della Festina al Tour de France, il mondo prendesse coscienza del fenomeno. Purtroppo abbiamo bisogno di tempo per comprendere i campanelli di allarme».
La storia delle biciclette “potenziate” avrebbe origini per nulla attinenti alla frode sportiva. «Il personaggio chiave - continua Brunel - è un ingegnere ungherese, Istvan Varjas, con un passato da corridore. Inizialmente i motorini nelle biciclette erano stati pensati per cercare di aiutare quelle persone lesionate a una gamba durante la guerra dell’ex Jugoslavia. Il passo successivo sarebbe stato uno sviluppo commerciale». Era il 1999. E Brunel aggiunge, non proprio casualmente: «L’anno in cui cominciò la nuova fase della carriera di Lance Armstrong, i trionfi al Tour....»
Brunel di campanelli di allarme ne attiva da sempre. Giornalista scomodo, non ha problemi a denunciare i suoi sospetti. Saputo della diffusione dei micro-motorini nelle bici, volle sperimentarli direttamente chiedendo di ripetere il test anche ad alcuni campioni. «Nessun dubbio, quell’aggeggio è un aiuto illegale che falsa le prestazioni». Il primo grande a venir lambito dai sospetti è stato Fabian Cancellara che nel 2010 centrò l’accoppiata Fiandre-Roubaix. L’Uci formalmente aprì un’inchiesta dopo l’intensificarsi delle voci attorno a quelle prestazioni-monstre. Nessuna prova. «Ovviamente. - continua Brunel - Si tratta di un “doping” che non ha conseguenze sugli atleti e gli ispettori dell’Uci non sanno bene neanche cosa cercare. Eppure c’è un business che sta fiorendo. Una bici “potenziata” costa 120mila euro, una spesa che può essere sostenuta solo per un grande campione. Sono tanti soldi, è vero, ma vincere una classica può fruttare fino a un milione e mezzo di euro. Il gioco vale abbondantemente la candela». Tra gli episodi sospetti, la prima firma dell’Equipe ne segnala un paio. «Alla Vuelta 2014 Hesjedal (vincitore del Giro d’Italia 2012, ndr) cade, scivola anche la bicicletta che però non si ferma e, anzi, si solleva. Una scena grottesca. Comunque sappiate che in questi due anni sono stati messi a punto motori che si fermano automaticamente in caso di caduta o di accentuata inclinazione della bici. Un episodio del genere non potremmo più smascherarlo». Altro episodio sospetto. Giro 2015, tappa del Mortirolo. «Alberto Contador dice di aver forato e si fa dare la ruota dal compagno di squadra Ivan Basso. Cambia e riparte. La stranezza è che anzichè aspettare l’ammiraglia per poter sostituire la presunta ruota forata di Contador, la monta e prosegue. Con una foratura va all’attacco del Mortirolo?» Brunel si ferma qui, chiedendo agli altri uno sforzo di immaginazione - nemmeno tanto dispendioso - sul motivo che può aver spinto Contador, in lotta per la corsa rosa con Aru, a cambiare una ruota prima della salita più dura. Per la cronaca, finora c’è stata una sola vittima del giro di vite da parte dell’Uci sulle diavolerie tecnologiche nelle biciclette. Sei anni di squalifica per Femke Van den Driessche, la 19enne belga “pizzicata” al Mondiale di ciclocross a Zolder. Un pesce piccolo.
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