La lotta fuori dalle Olimpiadi cancellato un pezzo di storia

Può venir riammessa dal Cio ma dovrà battere sette discipline concorrenti Quanti campioni, Maenza e Pollio i più recenti. La vicenda del triestino Calza
Di Bruno Lubis
Ara Abrahamian of Sweden (L) competes with Andrea Minguzzi of Italy (R) during the Men's Greco-Roman 96kg at the China Agricultural University Gymnasium for the Beijing 2008 Olympic Games, in Beijing, China, 14 August 2008. ANSA/RUNGROJ YONGRIT
Ara Abrahamian of Sweden (L) competes with Andrea Minguzzi of Italy (R) during the Men's Greco-Roman 96kg at the China Agricultural University Gymnasium for the Beijing 2008 Olympic Games, in Beijing, China, 14 August 2008. ANSA/RUNGROJ YONGRIT

TRIESTE. Nei Giochi olimpici del 2020 l’Executive Board del Cio ha deciso di togliere di mezzo la lotta greco-romana. La disciplina potrà rientrare come sport addizionale, presentandosi a maggio di quest’anno davanti al medesimo organismo che si riunirà a San Pietroburgo e giocarsela con baseball, karate, pattinaggio a rotelle, arrampicata, squash, wakebord e wushu. Insomma, l’antica nobiltà se la giocherà con discipline giovani quando addirittura sconosciute.

Al posto della lotta è stato conservato il pentathlon moderno. Indubbiamente ha giocato molto la scarsità di adepti occidentali: la lotta greco-romana è da sempre terra di medaglie per atleti delle repubbliche asiatiche, dell’Iran, della Turchia, della Russia e degli Usa. C’è poi la Svezia e l’Ungheria che hanno vinto un bel gruzzolo di medaglie pregiate. L’Italia vanta nel suo palmares sei medaglie d’oro, quattro argenti e nove bronzi.

Si diceva dello scarso appeal della lotta greco-romana presso il pubblico. Sport faticosissimo, dove bisogna buttare schiena a terra l’avversario solo con prese nella parte superiore del corpo: vietate le spazzate e le cravatte alle gambe. Una di quelle discipline che, grazie a Maenza e a Pollio, servono a far gonfiare il petto ai dirigenti del Coni nazionale, ma poi delle stuoie, del sudore degli atleti, ci si dimentica. Fino alla prossima Olimpiade.

C’è anche l’aspetto grottesco della disciplina. Ogni irregolarità viene punita con mettere l’atleta ginocchia e gomiti a terra - quasi si dovesse esplorare la prostata - mentre l’avversario ha diritto ad attanagliare dal retro i fianchi: quello di sotto cerca di sgusciare come un capitone dalla presa, l’altro lo vorrebbe rigirare e bloccargli le spalle sulla stuoia. Perciò la tv mostra la lotta greco-romana a tarda sera.

L’Italia ha i suoi campioni da ricordare. Innanzi tutto Vincenzo Maenza, vincitore di due ori nel 1984 e 1988. Nel 92 a Barcellona si accontentò dell’argento. Ma a Mosca c’è stato Claudio Pollio sul gradino più alto del podio sempre nei pesi mosca. L’ultimo acuto a Pechino, oro nei massimi di Andrea Minguzzi.

Nella storia olimpica non si possono però dimenticare Pietro Lombardi nel 1948 a Londra e, addirittura nel 1908, ancora a Londra, l’oro di Porro nei leggeri. Giovanni Gozzi ha vinto oro nel 1932 e l’argento nel 1928, Quaglia ha vinto un bronzo, come Ercole Gallegati a Los Angeles, Adelmo Bulgarelli a Melbourne e Mario Gruppioni a Los Angeles ’32.

C’è anche un triestino da ricordare in questa disciplina, il suo nome era Giorgio Calz, campione italiano dei massimi che ai Giochi di Anversa non fece una gran figura. Ma emigrò poi negli States dove gli aggiunsero una “a” al cognome e così, come Calza, lo conosciamo ancor oggi. Fu un campione del catch, vinse parecchi dollari e ora è ricordato nel palasport di Chiarbola che gli è stato intitolato. Calza arrivò ad Anversa forse troppo giovane, aveva 20 anni, perciò non riuscì a ben figurare.

Poi si riscattò con la lotta libera dove riuscì a emulare il mitico Raicevich, campione mondiale dei pesi medi e assoluto, l’uomo più forte del mondo.

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