Irene Camber, 90 anni di stoccate indimenticabili
TRIESTE. Innumerevoli i ricordi, storiche alcune delle stoccate inflitte alle avversarie in pedana, novanta le candeline oggi da spegnere.
Irene Camber, la signora della scherma italiana, festeggia oggi il suo compleanno riaprendo l’album di una vita ricca non solo di titoli sportivi nel fioretto ma anche di scelte costellate da svolte, ripensamenti e piccoli errori tramutati poi in grandi imprese.
Nata a Trieste nel 1926, figlia del "poeta soldato" Giulio Barni Camber, Irene Camber lega il suo nome alla storia dello sport italiano con la conquista di due medaglie ai Giochi Olimpici - l'oro individuale a Helsinki nel '52 e il bronzo a squadre a Roma 1960 - e di due titoli mondiali, sempre nel fioretto, ottenuti nell'arco degli anni '50. E' nata all’antivigilia del giorno del calendario consacrato agli innamorati ma i suoi amori, e non solamente in chiave sportiva, erano piuttosto altri e tutti ben distanti da lame e assalti in pedana: «Vero, alla scherma in fondo ci arrivai per caso - ricorda Irene Camber -: mia madre mi portò alla Ginnastica Triestina ma l'intenzione era di iscrivermi alla ginnastica artistica. Sbagliammo porta della palestra ed entrammo invece nella Sala di scherma. Un banale errore da cui nacque poi il mio percorso e la conseguente passione».
A proposito di passioni sportive. Quella per la scherma maturò nel tempo, in quanto in realtà Irene Camber guardava altrove, alla natura e alla montagna: «Infatti, in realtà io amavo lo sci - rivela l'olimpionica - e per lo sci ero pronta a qualsiasi sacrificio, ma all'epoca non era poi così semplice raggiungere una pista, soprattutto da una città di mare. Me ne feci una ragione - aggiunge - ma ricordo sempre bene l'amore enorme che nutrivo per gli sport sulla neve».
Le piste innevate sognate da Irene Camber si tramuteranno dunque ben presto nelle pedane internazionali del fioretto, tra Olimpiadi e campionati mondiali. Un cammino che la fiorettista forgiata dalla Ginnastica Triestina iniziò a Udine, proprio la città che oggi battezza la Coppa del Mondo giovanile di scherma.
Un debutto in realtà piuttosto movimentato quello della campionessa triestina, rimasto impresso nella memoria tra i riflessi di un infortunio, di una tifoseria da campanile e persino per un "look" fuori moda: «Non avevo mai fatto una vera gara di fioretto - rammenta Irene Camber -, ma soltanto esibizioni. Il mio maestro mi reputò in grado di esordire, mio padre diede il permesso e mi presentai a Udine, era un campionato regionale. Ero inesperta, anche nell'abbigliamento, dal momento che mi presentai in pedana in gonnellino, come ero solita fare nei saggi societari. Ero l'unica conciata in quel modo - ricorda ridendo - e pensai di essere del tutto fuori posto. Le cose peggiorarono una volta in pedana dove incontrai una mancina per avversaria, presi male le misure e volai letteralmente giù dalla pedana, dove fui sommersa dai fischi della tifoseria friulana nei confronti di una triestina...».
Altri tempi, anche per la scherma. La aspirante olimpionica in gonnellino si prenderà poi rivincite niente male in carriera, concedendosi tra l'altro un lungo periodo di pausa, anche per dare respiro alle altre grandi passioni della sua vita, il pianoforte e gli studi in Chimica industriale negli anni dell'Università di Padova.
Dalla soglia sbagliata in via Ginnastica sono passati quasi ottant'anni ma Irene Camber non ha mai smesso di respirare a modo suo la scherma, quella passione sorta quasi per caso e con cui anche oggi formula auspici e valori, "stoccando" anche l'anagrafe: «Cifra tonda la mia, niente male - conclude serena -. E che non mi impedisce di seguire alcune vicende della scherma, dove purtroppo vedo una propensione al professionismo ma in forma negativa e non consona allo spirito. L'importante resta comunque il sano rapporto con il Maestro. E' lui che deve farci capire che la scherma è in fondo come una partita di scacchi. Da affrontare sempre con molta tecnica e tanta testa...».
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