«Io, triestino sul fenomeno Oracle dall’università alla Coppa America»

L’avventura di Michele Stroligo è cominciata con un articolo su un tema di idrodinamica Dopo la convocazione negli Usa è entrato nel team dei 25 progettisti del super catamarano
Di Francesca Capodanno

TRIESTE. Pubblica un articolo su un complicato tema di idrodinamica, e riceve una convocazione, che si rivela un biglietto per la Coppa America. Non per vederla, ma per esserne parte, per avere, a soli 26 anni (all'epoca) un ruolo importante nel team di progettazione del catamarano destinato a cambiare la storia della vela, quello di Oracle Team Usa.

Si chiama Michele Stroligo, è triestinissmo, laureato in ingegneria navale, e il primo novembre compirà 30 anni. Dopo quattro anni passati a San Francisco, salvo qualche breve pausa, lunedì farà la valigia per tornare a casa, a Trieste, con il suo pezzetto di Coppa America in tasca.

Giovanissimo, ha dato un contributo importante nella progettazione e nelle continue migliorie delle appendici e dello scafo: in parole semplici, è uno degli uomini che ha fatto sì che prima il catamarano da 45 piedi usato nelle “Series” pre Coppa America, e poi il 72 piedi americano corresse così tanto da recuperare, sorpassare (e surclassare) i neozelandesi. Un progetto lungo, iniziato a Valencia quattro anni fa, terminato in gloria mercoledì 25 settembre, con la vittoria della Coppa America.

È una di quelle storie che in America funzionano meglio: dare fiducia a un giovanissimo, appena uscito dall'università; in Italia, probabilmente, avrebbe dovuto fare un po' di “coda”, e forse attendere qualche decennio per qualche borsa di studio. Stroligo si è rivelato invece un ragazzo con un gran cervello, capace – in ultima analisi - di far risparmiare soldi e tempo a Larry Ellison. Perché una volta, prima di Stroligo, per capire se un progetto era in grado di essere performante bisognava costruire un modellino, portarlo nella vasca navale e nella galleria del vento, e simulare concretamente e fisicamente le condizioni nelle quali si voleva testare il mezzo. Se non funzionava, bisognava riprogettare, ricostruire il modellino, e ripetere le prove: tempo, denaro, tanto tempo, tanto denaro. Quattro anni fa, la musica è cambiata: grazie a “super computer”, le simulazioni hanno iniziato ad essere completamente virtuali, fatte tutte di calcoli, senza bisogno di modellini, prenotazioni di vasche e gallerie, viaggi, e test. L'articolo di Stroligo trattava proprio di questo: «La mia tesi rappresentava uno studio per validare queste tecniche al computer, confrontandole con i test della vasca navale». Detto fatto, Stroligo è entrato nel team composto da 25 progettisti: «Grazie a “super computer” riesco a dire se la barca, le derive, i timoni vanno bene o no. Questi test sostituiscono ormai la vasca navale e la galleria del vento. Sulla base dei miei risultati, il team modifica le geometrie, con l'obiettivo di far correre di più la barca. Fatte le modifiche sul progetto, io nuovamente valuto le performance per passare a un altro step migliorativo».

Facile capire, per chi ha seguito questa edizione della Coppa America, quanto il ruolo di Stroligo sia stato centrale. A questo punto partono le domande su come Oracle abbia potuto migliorare così tanto in così poco tempo di bolina, sulla capacità di mantenere la navigazione sui foils. Se fosse seduto dall'altra parte di un tavolo, Stroligo avrebbe sorriso, ma da San Francisco, via facebook, invia uno “smile”, e dice semplicemente «ne parliamo un'altra volta...». Non entra in dettagli, perché come tutti i componenti dei team è vincolato contrattualmente al silenzio sugli aspetti tecnici. Ma l'esperienza umana la racconta con il cuore.

«Ho lasciato Trieste quattro anni fa, incredulo, torno dopo un'esperienza unica, e dopo la soddisfazione di aver partecipato e contribuito alla vittoria della Coppa America. Ho imparato tanto, tantissimo. E sono felice di tornare a casa: un po' di meritata vacanza dopo un lungo periodo in cui siamo stati a disposizione 24 ore su 24 e 7 giorni su 7».

Qual è stata la formula magica che ha permesso a Oracle di vincere questa Coppa?

La formula magica non è solo una questione di progettazione: è stata il mai arrendersi, tutti. I velisti, i progettisti e lo shore team non hanno mai mollato. Anzi, hanno dato sempre di più per far crescere le performance in acqua. È stato un mese impegnativo ma alla fine siamo riusciti a fare un doppio miracolo, rimonta e vittoria. E questo sarà ricordato per un bel po’.

E adesso?

Vacanza. Dopo quasi quattro anni così, devi staccare la spina e ricaricarti per le prossime sfide.

Va in qualche posto esotico?

Veramente lunedì ho il volo per tornare a Trieste, in tempo per la Barcolana.

Le è mancata la sua città?

Amo Trieste e non smetto mai di promuoverla, anche in seno all'America's Cup. E posso garantire che Trieste e la Barcolana piacciono anche qui: dovrebbe essere solo un po' più internazionale, parlare un po' più di inglese....

Cosa porta a casa, nel suo bagaglio?

Immagino intenda in senso metaforico. Questa esperienza mi ha lasciato un bagaglio enorme. Lavorare in un ambiente internazionale, a fianco dei migliori velisti e progettisti, per un progetto che ci ha fatto sviluppare nuove tecnologie, all'interno di un qualcosa chiamato America's Cup. Credo di essere cresciuto: sono orgoglioso di questa esperienza, ho vissuto una forte responsabilità richiesta dal mio ruolo. Avevo 26 anni quando sono arrivato, mi sembrava di essere molto giovane per un progetto di questo tipo. Ma hanno avuto fiducia, e hanno creduto in me. E abbiamo vinto.

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