Il mondo di Sara Gama: «Siamo un riferimento per molte ragazzine. Con noi sono meno sole»
TORINO Per Sara Gama il prato di San Siro finora era il concerto di Laura Pausini e Biagio Antonacci o l’Italia di Ventura che perde il treno dei Mondiali contro la Svezia
Da ieri invece è anche Milan-Juventus, lei reduce da un infortunio, ha dovuto guardare, ma da capitana della Juve, della nazionale e del movimento si è gustata il ritorno del calcio femminile sotto i riflettori.
Pure con il pubblico al minimo la partita vi restituisce un po’ di visibilità?
Il Covid è arrivato proprio quando eravamo appena entrate nell’immaginario comune, è dispiaciuto a tutti non riuscire a finire l’ultimo campionato, l’ennesima lezione per il futuro: si deve programmare di più e meglio.
Di questi tempi fare programmi è complicato. Il calcio può trovare anticorpi al caos da contagio, ai casi Genoa o Juve-Napoli?
Si può solo cercare di pensare a tutte le ipotesi possibili, difficile avere un protocollo che regga a ogni situazione, ma va mantenuta una uniformità di giudizio. Con l’unità di intenti, quasi inedita, il calcio è tornato in campo. Scomporsi adesso è follia.
Si riesce a giocare con tutti questi dubbi?
Ci sentiamo tutelate. Essere trovate positive è una possibilità e bisogna saperlo. Ci vuole la massima allerta e anche la massima collaborazione.
Durante il lockdown ha scritto una biografia: «La mia vita dietro un pallone».
Un libro per ragazzi, la scrittura snella e accessibile, mi ha aiutato a essere diretta. Le emozioni sono un linguaggio trasversale, arrivano.
Scrive «difficile immaginare qualcosa che apparentemente non esiste». Da bambina non poteva sognare di essere calciatrice.
L’idea del iario nasce proprio per dare un punto di riferimento. Se vedi qualcosa, è più semplice desiderarla. Penso che guardando noi le ragazzine si sentano meno sole, ma il libro non ha genere, svela un percorso, con le sue difficoltà.
Svela molto di lei. Di solito non ama dare dettagli personali.
Non potevo omettere il contesto, è stato un modo di mostrarmi senza filtri, quasi una lunga seduta di psicanalisi: mi sono stupita di quello che mi ha tirato fuori.
Che cosa ha scoperto?
Non sono abituata a parlare delle difficoltà ma l’ho fatto. Ho descritto momenti duri dopo gli infortuni, la paura di essere dimenticata, l’orgoglio, le amarezze ma ci tenevo a mantenere uno sguardo positivo.
Anche quando ricorda che dopo la vittoria agli Europei under 19 pensava che nessuno potesse più ignorarvi?
Sì, perché la morale è che non è mai stato facile, continua a non esserlo però si va avanti. Le azzurre non avevano mai vinto un trofeo prima e ci siamo sempre sentite dire che per avere spazio bisogna far risultati. Ne abbiamo centrato uno storico e nulla è cambiato. Allora non studiavo diritti e contratti, poi mi sono appassionata.
E dopo l’exploit ai Mondiali di Francia con milioni di italiani davanti alla tv ha pensato di nuovo che a quel punto fosse impossibile mettervi da parte?
Non si può smettere di spingere, ma va bene fino a che si avanti, negli ultimi 5 anni abbiamo fatto tanta strada. Con questa crisi vanno aumentati, non diminuiti, gli sforzi per il calcio femminile.
Il professionismo a che punto sta?
È stato annunciato per la stagione 2022-23, ora va preparato. Esiste un fondo salvacalcio, le risorse ci sono e si devono usare. Urge sistemare la posizione di chi non ha tutele, non chiediamo che il nostro stipendio sia uguale a quello degli uomini, ma lo status sì: facciamo la stessa professione.
La legge sullo sport in discussione può aiutare?
Il collegato comprende molti miglioramenti, equipara le donne agli uomini nelle discipline in cui è riconosciuto il professionismo. Si parlava di lavoro sportivo nelle bozze di cui avevamo discusso con il ministro Spadafora e il presidente della Figc Gravina.
E che fine hanno fatto quelle bozze?
Non lo so, si sta parlando d’altro purtroppo eppure c’erano molte riforme necessarie. Compresa la revisione del vincolo sportivo per i dilettanti: lo abbiamo solo qui e in Grecia. Comunque l’attuale legge è datata ma non impedisce il professionismo, basterebbe una delibera.
Se dico Champions che cosa risponde?
Lavoro, sudore e credo. La Juve cresce.
Ha mai pensato di inginocchiarsi prima di una partita?
Nella nostra società c’è un problema da affrontare con degli imperativi. Il razzismo non riguarda chi lo subisce, riguarda il nostro Paese, è ignoranza da estirpare e fino a che c’è resta una zavorra per tutti.
Vuol dire che inginocchiarsi non serve?
No, voglio dire che è un discorso ampio. Ispirare la gente con idee felici va sempre bene.
La chiamano ancora Speedy, come da bambina?
Sì, il soprannome mi è rimasto addosso. Magari vado meno veloce, ma in campo Sara non lo sento dire mai. —
Riproduzione riservata © Il Piccolo