Il “cucchiaio” nella storia
Un cucchiaio e un cucchiaino: il primo rafforzò l’autostima e fece esplodere la popolarità di Francesco Totti; con il secondo raccolsero il morale di Alessandro Del Piero. Europei del 2000, l’Italia sarebbe stata beffata in finale dalla Francia a pochi secondi dal fischio conclusivo, ma intanto per arrivarci, alla sfida con i francesi, si trovano davanti in semifinale l’Olanda, e si gioca ad Amsterdam – quegli Europei furono organizzati in tandem da Belgio e Olanda: dunque dovendo sfidare, oltre agli undici arancioni in campo anche uno stadio intero. Andrà a finire che l’Italia elimina i tulipani ai calci di rigore, ai quali riesce ad arrivare malgrado l’inferiorità numerica (espulso Zambrotta) e grazie alle parate di un Toldo in versione supereroe. In campo dall’inizio ci va Del Piero, Totti entrerà a dieci minuti dalla fine dei novanta regolamentari. Il destino pende dunque tutto dalla parte dello juventino, il romanista sembra relegato a una comparsata in panchina. Invece. Invece accade che Del Piero disputa una partita pessima – come tutto l’Europeo, del resto – e che Totti, invece, diventa protagonista dal dischetto. In quella che viene definita universalmente come la “lotteria dei calci di rigore”, Totti pesca il biglietto vincente, Del Piero neanche lo acquista, il tagliando.
Dopo Di Biagio e Pessotto – in gol entrambi – tocca appunto al giallorosso, che, come sussurra a Di Biagio prima del tiro e come scriverà poi anche in un libro che prenderà il titolo dalla frase stessa, prima di tirare dice: “mo je faccio er cucchiaio”. Tra i pali c’è Van der Sar, più lungo di un processo penale, Totti lo batte con lo scavetto ed entra nella leggenda del calcio. Sbaglierà poi Maldini, ma gli errori degli olandesi ipnotizzati da Toldo regaleranno la finale all’Italia e al tempo stesso renderanno inutile il rigore di Del Piero – sarebbe stato il quinto della serie azzurra – e inutile di fatto anche il suo Europeo.
Ma Totti, l’ottavo re di Roma, è stato sempre così, sfrontato, sopra le righe, destinato a dividere e far discutere; e capace di parlare con un solo linguaggio: quello del campo. E infatti, come allora anche oggi, sedici lunghi anni dopo, mentre la Roma, la “sua” Roma decideva di farlo fuori con la complicità di uno Spalletti qualsiasi, ha dovuto mettere gli scarpini, giocare scampoli di partite nel finale di campionato e tirare su i giallorossi fin quasi al secondo posto. E s’è meritato la conferma per un altro anno da calciatore, altro che dirigente. Lui gioca e giocherà, Del Piero no, invece, ha già smesso dopo un’inutile parentesi australiana, e ora commenta le partite in tivù. Per carità, con grande stile e in uno scenario di classe, ma fa quello che né più né meno fa una quarantina di milioni di italiani al bar o nel salotto di casa o in ufficio: guarda. E commenta. Totti gioca e segna. Del Piero parla. Totti corre e suda. Del Piero sta seduto e disquisisce. Totti divide ancora l’Olimpico e la stampa sportiva. Del Piero osserva e di lui si interessa ancora solo l’uccellino dell’acqua minerale.
Due stili, certo, e qui non si vuole dire che l’uno sia meglio dell’altro, ma solo sottolineare che sono differenti. Prima di Totti, solo il ceco Panenka aveva calciato un cucchiaio agli Europei, nella finale del 1976 contro la Germania Ovest. Dopo Totti toccherà a tanti, e di tutti si ricorda qui quello – sgraziato assai – con cui Maicosuel negà la Champions all’Udinese. Ma Totti è Totti, come Sanremo è Sanremo, e quella frase a Di Biagio - “mo je faccio er cucchiaio” - ma soprattutto la camminata sfrontata verso l’area di rigore, lo hanno collocato nella storia del calcio mondiale. Follia? Presunzione? Sfacciataggine? Giratela come volete, ma se appartenete alla categoria di coloro che alla semplice partecipazione, preferiscono la vittoria, non potete che inchinarvi all’ottavo re di Roma e al suo cucchiaio elevato da utensile a simbolo.
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