I fratelli Sarto a braccetto nell’Italrugby

Un’altra coppia padovana dopo i Bergamasco «Se siamo qui dobbiamo tutto alla mamma»
Di Alessandro Cecioni

di Alessandro Cecioni

Due coincidenze cominciano a essere una notizia, tre qualcosa di più. Se poi l’ambito è quello ristretto del rugby, e quello ancor più ristretto della Nazionale, sono qualcosa di quasi eccezionale. Per la prima volta dal 2000, anno di trasformazione del Cinque Nazioni in Sei Nazioni con l’ingresso degli azzurri nel torneo più antico del mondo, nella lista dei convocati non figura uno dei fratelli Bergamasco. Mauro ha detto addio al campo dopo aver giocato cinque mondiali, unico italiano ad averne avuto la possibilità, e aver indossato la maglia azzurra 106 volte. Suo fratello Mirco del club azzurro non fa più parte (non senza qualche strascico polemico) dopo 89 presenze e 256 punti segnati (quinto marcatore assoluto nella storia degli azzurri).

Prima coincidenza. Due fratelli escono dalla Nazionale e due si affacciano in azzurro, Leonardo e Jacopo Sarto. Per il primo, tre quarti ala delle Zebre, classe 1992, è una conferma dopo 23 presenze e sei mete segnate, per l’altro, terza linea ala, classe 1990, è l’esordio.

Seconda coincidenza. Mauro era terza linea e Mirco tre quarti. Stessi ruoli dei fratelli Sarto. E qui la storia si fa quasi novella. Perché i fratelli Sarto giocano a rugby invece che a calcio o, vista l’altezza (entrambi sopra il metro e 90) a basket o pallavolo? Perché quando avevano otto e dieci anni un’amica della loro mamma consigliò la palla ovale per i suoi ragazzoni. «Portali al Petrarca, anche i miei giocano lì e si divertono molto». I figli dell’amica della mamma di Leonardo e Jacopo si chiamavano Mauro e Mirco. Bergamasco, naturalmente.

Più che fratelli, Leonardo e Jacopo. Amici. Vivono insieme a Parma, rispondono alle domande quasi all’unisono. Genitori separati e loro legatissimi alla madre. «Quando abbiamo saputo della convocazione l’abbiamo subito chiamata. È merito suo, no?».

Giocate da quando avete otto e dieci anni. Sempre negli stessi ruoli?

«Io ho giocato subito sui tre quarti – dice Leonardo – ero veloce, mi piaceva così». «Io ero tutto diverso da ora – dice Jacopo – ero tracagnotto, mi misero pilone, pilone sinistro. Una sofferenza, credetemi».

Fino a che età pilone?

«Fino all’under 18, poi sono passato terza linea, mi usano molto come numero 8, ma flanker è il ruolo che preferisco, perché si sta più vicini alla mischia, alla battaglia, posso placcare di più. Sì, in terza linea sono rinato».

Quando avete cominciato a giocare insieme?

«Quando io ero nell’Under 18 Leonardo era nell’Under 16, ma era molto forte e certe volte giocava con noi. E dopo, nell’Under 20, perché io ero l’anno di rientro. Poi abbiamo fatto strade diverse fino a ritrovarci alle Zebre lo scorso anno».

«Alle Zebre, già, dove mio fratello con Cavinato (allenatore della scorsa stagione, ndr) non trovava posto in squadra e ora invece guardate dove è arrivato», aggiunge Leonardo che parla poco ma quando parla non le manda a dire.

Fuori dal rugby cosa c’è?

«Una ragazza, libri, cinema. Ma giocare da professionista è un impegno importante, tempo per altre cose non ce n’è molto». Dice Jacopo. «Io morosa fissa no», Leonardo, mezzo sorrisino.

E lo studio?

«Mi sarebbe piaciuto fare psicologia, mi ero anche iscritto. Ma mi sono fermato subito, non posso nemmeno dire di aver fatto un po’ di università».

Entrambi avete vissuto a Padova e ora siete a Parma. La città più divertente, dove vi trovate meglio?

«Padova, perché è più grande – rispondono insieme – ma anche a Parma si sta bene».

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