Giorgio Petrosyan: «Il più forte sono io»

GORIZIA. «La sconfitta in Thailandia con Nonthanan è una lunga storia...». Il pluricampione del mondo di K-1 Giorgio Petrosyan ricorda l’unica macchia del suo curriculum di fighter con il sorriso. Il tempo lenisce i ricordi negativi. Su quel match combattuto il 23 gennaio 2007 al Lumpinee stadium di Bangkok circolano numerose leggende. «Dietro c’erano tanti soldi per le scommesse - racconta lui -. Il peso si faceva a 72 chilogrammi. Il giorno del peso io ero a 70 e qualcosa… e per gli arbitri non andava bene perché bisognava avere lo stesso peso, altrimenti non si poteva combattere. Quindi mi hanno fatto bere una ‘roba’ e ogni cinque secondi andavo in bagno. Ho buttato fuori tutti i liquidi che avevo in corpo. Però non capivo. Ero giovane: non sapevo. E sono andato sul ring con i crampi. Lui ha vinto tenendomi fuori solo col calcio frontale perché aveva paura dei miei pugni e ho perso ai punti. Ricordo che solo due giorni dopo ho ricominciato a parlare, non riuscivo a fare neanche quello, non ne avevo le forze. Pesavo 67 chili. ...abbiamo fatto un’esperienza». Mancano meno di due mesi all’incontro di Trieste con il danese di origini filippine Ole Laursen e il campione del Team Satori riprende gli allenamenti. A imporgli una pausa dopo il titolo iridato di novembre alle Glory World Series sono state due operazioni: alle tonsille e alla mano per la pulizia dei tendini. Ora “il chirurgo” armeno-goriziano riparte.
Petrosyan, il soprannome “chirurgo” quando nasce?
Era il luglio 2004 e combattevo a Trieste contro il francese Anis Kabouri. L’ho messo ko dopo avergli tirato tre o quattro calci nello stesso punto. L’arbitro mi ha soprannominato così e da quel giorno sono “il chirurgo”.
A proposito di nomi, Giorgio o Gevorg?
Ormai vivo in Italia da tanti anni e tutti mi chiamano Giorgio. Per la gente sono Giorgio.
E sul ring porta sempre il tricolore.
Ho cominciato questo sport con la scuola italiana. Il mio maestro è italiano. Combatto per l’Italia. È giusto così.
K-1 o muay-thai?
K-1 perché ormai ho preso una decisione: è più bello, ha più colpi. Il muay-thai è più statico, il K-1 è più spettacolare. Almeno, secondo me.
Ha vinto due volte di seguito il torneo K-1 in Giappone, dopo un anno di stop ci sono state le Glory World Series e ha vinto anche quelle. Cosa significa?
Significa che ho vinto tutto, fino ad ora.
Quindi è il più forte?
Fino ad ora ho dimostrato d’essere il più forte, però non si sa mai.
Ricorda tutti gli incontri?
Sì, tutti.
Il primo?
È stato con un ragazzo di Torino: Luca Giuliano. Lui era campione italiano. Ho vinto ai punti però mi sono fratturato un dito del piede. Sono arrivato all’angolo e ho detto al mio maestro: “Alfio, ho il dito storto’. ‘Amen – ha detto –, va bene: continua a calciare”.
Secondo Wikipedia il primo match era con il francese Lallemand.
Era più avanti… Io ho cominciato nel 2002. Wikipedia parte dal 2003: mancano almeno otto match.
Il più bello?
Non saprei scegliere. Ne ho fatti tanti di incontri belli.
Allora il più esaltante...
A Roma, la finale delle “Glory”.
Il più drammatico?
Contro Zambidis in Giappone nella semi-finale del K-1 2010, perché avevo la mano rotta.
Il più difficile?
Ce ne sono stati tanti difficili perché ho affrontato molti avversari forti: Kraus, Zambidis, van Roosmalen…
Qual è l’incontro che manca?
La rivincita con Buakaw. Spero di ripetere il match, ma credo che non lo faremo mai.
Il pareggio con Buakaw non ha mai convinto nessuno, ma è stato fondamentale…
Prima di Buakaw non ero conosciuto e quando mi hanno chiesto di combattere, ho accettato subito: lui era il numero uno. Ho voluto confrontarmi con il massimo, era necessario per raggiungere il punto dove sono adesso.
E Masato?
Manca anche lui, dovevo incontrarlo, ma mi sono fratturato la mano… Chi avrebbe vinto? Non lo so. In Giappone, se non lo buttavo giù, sarebbe stata dura.
Chi è stato l’avversario più forte?
Il thailandese Pinsinchai. Lui aveva combattuto qualcosa come 250 incontri. Io non ne avevo neanche 20. Quando è arrivato in Italia lo hanno proposto a me e io ho accettato subito. Devo dire che è stato l’incontro più duro.
E anche in questo caso c’è stato un pareggio…
Sì, abbiamo fatto pari… per tanti motivi. Lui era il campione. Io avevo 18 anni. Non potevo vincere con uno così forte.
E l’avversario più fortunato?
I miei avversari non sono mai stati fortunati.
Uno pensa a Petrosyan e pensa alla combinazione schivata-attacco. Meglio la difesa o l’attacco?
Bisogna avere entrambi. Però il mio maestro mi ha sempre insegnato che prima viene la difesa, poi l’attacco.
Tra pugni e calci?
Ultimamente tiro più calci, perché ho avuto problemi alla mano, però preferisco i pugni.
Per chiudere, un pensiero sul maestro Alfio Romanut?
È come il mio secondo padre, vedo più lui dei miei genitori. Frequento la palestra da quando avevo 14 anni. Mi ha seguito sempre, mi ha insegnato tante cose, anche nella vita, e sono contento che fino adesso non l’ho deluso.
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