Cassani: «L’Abetone nel cuore ma è lo Zoncolan la salita più dura»

Tra Toscana ed Emilia nacque il mito di Coppi «e ogni volta non posso non pensarci» In Carnia invece i 10 chilometri più impegnativi: «Ma io ho fatto anche il Crostis»



Hai voglia di raccontare le volate da brivido o le crono da record. No, «il fascino principale del ciclismo - un fascino rimasto immutato dagli albori fino a oggi - è sempre quello dell’uomo solo che scala le montagne, che scatta in salita e fa il vuoto alle proprie spalle». Lo scrive il giornalista Beppe Conti nella premessa al libro firmato assieme al ct azzurro Davide Cassani “Le salite più belle d’Italia” (Rizzoli, pagg. 311, euro 18). Ed è impossibile non essere d’accordo con lui.

«In effetti - spiega Davide Cassani - abbiamo cercato di mettere nero su bianco le nostre esperienze in bicicletta e al microfono, raccontando le caratteristiche ma soprattutto le emozioni che mi suggeriscono queste quindici salite italiane che hanno fatto la storia del ciclismo e che ho voluto rifare oggi che non sono più un professionista ma solo, diciamo così, un cicloamatore».

E allora c’è spazio anche per il Mostro, oppure il Kaiser, chiamatelo come volete: lo Zoncolan. «Vuoi mettere la gioia di arrivare quassù?» scrive Cassani nel libro. E anche il fatto che dopo questa salita «i miei anni li sento tutti, anche qualcuno in più» dopo essersi sentito fino al giorno prima «un ragazzino» è presto dimenticato una volta che «la fatica lascia spazio all’emozione». «È una salita “giovane” per il grande ciclismo, la sua prima volta al Giro d’Italia è del 2003 e per questo nel libro l’abbiamo battezzata la Salita del terzo millennio. Ma per difficoltà, per durezza, non ha eguali - spiega Cassani -. E non solo: quando in corsa esci dalle gallerie e vedi quell’anfiteatro naturale che abbraccia gli ultini 600 metri... beh, è uno spettacolo unico, assoluto». Cassani non ne scrive nel libro, ma lui ha fatto anche il dirimpettaio Crostis, negato al grande ciclismo nel 2011: «Anzi, sono uno dei pochi ad averlo fatto - precisa orgoglioso il ct azzurro -: vi assicuro che il tratto in vetta è qualcosa di assolutamente fantastico, unico. Certo, c’è il problema ancora aperto della discesa, ma resta in me un grande ricordo del Crostis».

Se lo Zoncolan offre dunque i 10 chilometri più duri d’Europa («soltanto l’Angliru, nelle Asturie, scoperto dalla Vuelta nel 1999, regge il confronto» scrive il ct azzurro nel suo libro) quale è invece la montagna del cuore per Davide Cassani? «Senza dubbio alcuno, l’Abetone. Quando percorro quella strada non posso fare a meno di riflettere e pensare a Fausto Coppi». Proprio lassù, tra Toscana ed Emilia, Coppi - del quale il prossimo anno a settembre ricorrerà il centenario della nascita - scrisse, era il Giro del 1940, le pagine della sua prima leggendaria impresa: «Ne avevo visti di scalatori... Ma adesso vedevo qualcosa di nuovo: aquila, rondine, alcione, non saprei come dire, che sotto la frusta della pioggia e il tamburello della grandine (...), ignorando la fatica, volava, letteralmente volava» scrisse ai suoi tempi Orio Vergani, ricordato ora da Cassani nel suo libro. Ma poi c’è un altro motivo che lega il ct azzurro all’Abetone: «Lassù ho vinto anch’io, no, non al Giro ma al Trofeo dello Scalatore» racconta.

Già perché lui non era proprio uno scalatore puro. A proposito: cosa serve per esserlo, più talento o più allenamento? «Nessun dubbio, per almeno l’80 per cento è talento puro...»—





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