Cassani, ex cr della nazionale ciclistica: «Le due Gorizie abbattano le barriere »
L’auspicio di Cassani, ex ct della nazionale di due ruote, in arrivo in città. «La tappa del Giro che correrà qui racconterà una storia davvero unica»
«Il nostro sport ha sempre abbattuto le frontiere, e l’auspicio è che, anche grazie al ciclismo, da Gorizia e Nova Gorica parta un messaggio importante e i confini possano tornare a sparire per sempre». Se c’è una persona che la forza simbolica dello sport, del pedale in primis, la conosce bene, e che conosce bene anche il significato del confine caduto tra le due Gorizie, è sicuramente Davide Cassani. Ex ciclista professionista e già ct della nazionale italiana delle due ruote, oltre che apprezzato commentatore televisivo, Cassani sarà martedì sera ospite della settima edizione del Festival AlienAzioni organizzato da Gorizia Spettacoli. Alle 20.30 al Kinemax (ingresso libero) dialogherà con il giornalista Roberto Collini omaggiando in particolare la figura straordinaria di Marco Pantani, il Pirata, a vent’anni dalla sua scomparsa.
Ma questa non è la sua prima volta a Gorizia, vero?
«Decisamente no. Qui ho avuto la possibilità di commentare in telecronaca alcune corse importanti, ma qui, soprattutto, avevo un carissimo amico, l’avvocato Diego Contini che è mancato alcuni anni fa, e che venivo a trovare spesso. Ricordo bene quando andavamo assieme a correre, percorrendo la splendida pista ciclabile lungo il vecchio confine che non c’è più tra Gorizia e Nova Gorica. Un qualcosa che regalava una sensazione speciale».
In realtà oggi però i confini sono tornati, con la sospensione del Trattato di Schengen. Non è un controsenso in queste terre?
«Sì, ma se è dettato da motivi di sicurezza internazionale, va accettato. Certo, la speranza è che in poco tempo si possa tornare alla normalità, che per Gorizia e Nova Gorica vuol dire ormai essere una città unica».
Una città che sarà Capitale europea della cultura il prossimo anno, e verrà omaggiata anche da un arrivo di tappa del Giro d’Italia.
«Per molti versi è naturale, perché il Giro è anche un evento culturale. Io dico sempre che pedalando si viaggia, e viaggiando si impara. Quella tappa, poi, potrà veicolare messaggi importanti: i ciclisti, quando attraversano un confine in corsa, non si fermano, non notano il passaggio da un Paese all’altro, ed è come raccontare qualcosa che ha a che fare con la fratellanza, l’uguaglianza, il fatto che non devono esistere divisioni».
In tal senso lo sport può avere un ruolo importante?
«Lo sport in generale non ha colori, è una comunione, unisce le persone. E il ciclismo, in particolare, unisce perché è la disciplina più vicina alla gente, è lo sport che viene a casa tua, sulle tue strade, non richiede di pagare il biglietto per entrare in uno stadio o un palazzetto».
Ma il ciclismo è forse anche lo sport più efficace nel raccontare e promuovere un territorio?
«Sì, regala la possibilità di vedere cosa c’è attorno al gruppo, alle biciclette. Il Giro d’Italia, ad esempio, è seguito non solo dagli appassionati di ciclismo, ma anche da coloro che hanno la curiosità di scoprire il nostro Paese. E una tappa come quella transfrontaliera di Go! 2025 racconterà una storia davvero unica».
Parlare di ciclismo e di Slovenia oggi vuol dire parlare soprattutto di Tadej Pogačar.
«Un corridore straordinario, e non a caso lo definiamo spesso il nuovo Eddy Merckx. Un ragazzo che non si limita a vincere, ma emoziona vincendo».
Sembra di sentire quel che si dice di Marco Pantani, che lei ricorderà martedì a Gorizia, vero?
«Marco aveva un carisma unico, e non è un caso che ancora oggi al Giro gli striscioni più numerosi siano per lui. La gente si innamorò sul Mortirolo, vedendolo scattare, lui così mingherlino, e staccare il gigante Indurain. Ha smosso corde che nessun altro è riuscito a toccare».
Se chiude gli occhi e ci pensa, cosa vede?
«Vedo lo scatto sui Galibier, nel 1998, Ullrich battuto, Marco che si prende la maglia gialla e il Tour de France, impresa che raccontai accanto ad Adriano De Zan. Ecco, il mio Pantani è quello”.
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