Cassani: "Che spettacolo il Giro sullo Zoncolan e a Trieste"

TRIESTE L’entusiasmo è rimasto quello del ragazzo di 15 anni che si lascia sedurre dal ciclismo dopo aver visto Adorni vincere un Mondiale sulle strade di casa. Davide Cassani, nuovo commissario tecnico della Nazionale di ciclismo, si è buttato a capofitto nella nuova avventura, dopo una lunga carriera da corridore e una altrettanto consistente di commentatore tv. Ieri a Udine per un incontro promosso dall’Ussi (Unione stampa sportiva italiana), Cassani ha fatto il punto sul ciclismo nazionale e i prossimi Mondiali ma il punto di partenza non poteva che essere, inevitabilmente, il Giro d’Italia conclusosi a Trieste domenica scorsa con il trionfo di Nairo Quintana e l’altro colombiano Uran e il sardo Aru sul podio. «Un Giro che ha portato alla ribalta volti nuovi e che per il nostro movimento è stato positivo. Giovani in crescita, entusiasmo. Il Friuli Venezia Giulia ha confermato di proporre percorsi interessanti e spettacolari.
Lo Zoncolan è diventato ormai una salita da leggenda: basti pensare che è così dura da aver fatto finire in secondo piano persino quel Mortirolo che fino a qualche anno fa era l’ascesa più temuta. Allo Zoncolan, peraltro, sono legato affettivamente: sono stato tra i primi ad affrontarlo in bici e con me c’erano Francesco Guidolin e il povero Ballerini. La tappa conclusiva a Trieste con il circuito e il volo delle Frecce Tricolori ha regalato grande emozioni. Se può diventare un circuito da Mondiale? È un bel tracciato ma per ospitare un campionato iridato contano tanti fattori». Va da sè che il nodo economico è il primo della lista...
«Qualche volta sento commenti pessimistici. In realtà in Italia i giovani costituiscono oltre la metà dei 125 ciclisti professionisti. Fabio Aru, terzo al Giro, è il personaggio del giorno: ha la stessa età di Quintana, 24 anni, ma un raffronto è improponibile. Aru infatti ha iniziato a 18 anni e per giunta con il ciclocross, solo l’occhio clinico di un bravo direttore tecnico lo ha notato portandolo alle corse a tappe su strada. Quest’anno gli italiano hanno vinto sei tappe al Giro, Ulissi ha centrato una grande doppietta. Qualcun altro è stato sfortunato: penso a Bongiorno, danneggiato da uno pseudotifoso sullo Zoncolan, o Nizzolo quattro volte secondo allo sprint».
«I Mondiali si corrono a Ponferrada in Spagna. Un tracciato impegnativo ma non così duro. Potrebbe anche finire con un gruppo di 20-25 corridori a giocarsi il successo. Un rivale come Sagan è da temere. L’Italia che porterò sarà a più punte. Non ci sarà un capitano designato. Serviranno i giovani ma anche pedine di esperienza. Mi fa ben sperare, tuttavia, che i nostri giovani come Ulissi e Battaglin abbiano già un notevole senso tattico. Ai Mondiali non esiste il collegamento radio con l’ammiraglia e in corsa i corridori devono fare i registi di sè stessi...
«In Friuli Venezia Giulia c’è un movimento interessante. Pellizotti è andato vicino all’impresa sullo Zoncolan. Trovo fortissimo Alessandro De Marchi. Fa bene nel suo club, la Cannondale, e potrebbe fare altrettanto anche con la Nazionale. Vediamo come si comporterà al prossimo Tour de France».
«I colombiani sono competitivi nelle corse a tappe perché si allenano quasi tutto l’anno in altura e hanno ancora “fame”. L’Australia e la Gran Bretagna hanno lavorato bene sui giovani, avviando delle Academy e raccolgono risultati sia su strada che in pista. I mercati si allargano sempre più: uno dei top team è kazako, l’Astana. Da noi dobbiamo capire che bisogna cambiare. Purtroppo c’è ancora chi tra i ds ragiona come 30 anni fa. Ma il mondo non è più quello. Una volta un ciclista correva da febbraio a ottobre e le squadra avevano 12-13 atleti. Adesso le “rose” sono infinite e nessuno può pensare di vincere sempre e ovunque. Non a caso l’ultimo “grande” a fare la differenza sia nelle corse a tappe che nelle classiche è stato Bernanrd Hinault, un bel po’ di tempo fa...»
«Se ne parla con troppa leggerezza. Io credo che sia un fenomeno in netto calo e per un motivo semplice: non esiste uno sport con più controlli del ciclismo. Siamo stati noi i primi a lanciare il passaporto biologico, i test sono costanti, un atleta è obbligato alla reperibilità, chi sgarra viene punito. Poi qualcuno che ci prova c’è sempre ma esiste una categoria dove nessuno infrange le regole?»
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