Addio a Lo Duca, il Prof che svezzava i fenomeni già a scuola
TRIESTE Pino Lo Duca era il Prof di educazione fisica che tutti i ragazzi delle medie avrebbero voluto avere. Ridotti all’osso i noiosi esercizi ginnici se non quando la ciurma era particolarmente chiassosa e molesta, solo una volta a trimestre ci sottoponeva a una prova di salto in alto tanto per scribacchiare un voto sul registro. Per il resto tanto pallone e del resto cosa ci si poteva aspettare da un Prof “baloner” che nel suo dna sportivo aveva avuto il calcio ancora prima della pallamano? Dicono che era stato un centrocampista di buona gamba tra i dilettanti con l’Arsenale (dove quella e finale marca nettamente la differenza con il leggendario club inglese) e pur con mille tutori da dottor Gibaud si intrufolava sempre nelle sfide a calcetto.
Alla scuola media di Servola Lo Duca s’inventava mini-tornei di calcio svedese in spazi piuttosto angusti. La palestra non c’era era un’aula liberata da banchi e sedie. In pratica si giocava a pallamano seduti e alle due estremità del locale erano stati piazzati orizzontalmente contro il muro alcuni tappeti di salto in alto che diventavano le porte. Si sudava da matti perché le finestre restavano chiuse, la scuola era ubicata a non più di cento metri della Ferriera che ogni tanto emetteva i suoi sbuffi di un colore nerastro.
È in questi contesti scolareschi, a Servola ma anche alla Caprin di Valmaura, che baffone effettuava i primi provini, i casting per le squadre giovanili di pallamano. Aveva buon occhio, osserva chi aveva potenza nel tiro e prestanza fisica per eccellere. In primavera ci portava nel campetto in cemento accanto alla chiesa di Servola laddove, il test diventava più serio. Era un vecchio campo di basket sorretto da due pali, quasi due porte di pallamano. Quelli che lui considerava poi i più bravi o i più portati per questo sport importato dalla Fiera dell’est li convocava in un campetto dell’Enaip, in via dell’Istria. Campetto trasformato in una vera incubatrice per futuri campioni che svezzava personalmente. Non è retorica sostenere che a volte aveva anche altre finalità, più sociali. Reclutava anche ragazzi un po’ smarriti che sarebbero finiti a rubare ruote di motorini o che avrebbero trovato presto conforto nella bottiglia.
Con il tempo nel mucchio selvaggio emersero in maniera darwiniana quelli che avevano vero talento e un fisico bestiale. Quei bravi ragazzi che divennero una specie di Dream Team acchiappascudetti. Fuori i nomi? Piero Sivini, Marco Bozzola, Giorgio Oveglia, Furio Scropetta, Giuliano Calcina (deceduto), Roberto Pischianz e riserve di lusso come Giorgio Brandolin, Mauro Pisani, Giorgio Polese, Diego Zippo. A questi si aggiunse in un secondo momento Claudio Schina da Frascati, facile la sua integrazione nella congrega.
Negli anni s’era creato una sorta di cerchio magico, c’era un gruppo più ristretto di inseparabili. Erano come fratelli, sempre insieme anche fuori dal campo per la disperazione delle morose dell’epoca. Quuei ragazzi per il Prof erano come una sua seconda famiglia. Lo Duca se li portava anche in campeggio a Grado dove arrivavano nel fine settimana per interminabili tornei di calcio e scherzi di ogni genere. In Italia era fortissimi non solo per il loro indiscutibile talento ma anche in virtù di questa ferrea amicizia. In campo erano un unico blocco. Lo Duca ha avuto anche la fortuna di trovare sulla sua strada mecenati che non facevano mancare niente alla squadra. Si sono sempre considerati dilettanti, ognuno aveva il suo lavoro, ma qualcosa costavano per non parlare degli stranieri. Da Duina agli anni d’oro con Mario Cividin per finire con Mario Dukcevich che aveva una passione per questo sport. Per difendere questa squadra Lo Duca si è sempre battuto come un leone. Si è speso in prima persona specialmente quando il piatto ha cominciato a piangere. Ha bussato senza vergogna a mille porte in cerca di denari, naturalmente anche a quelle della politica locale trovando in un anno difficile i soldi che mancavano dalle parti di Palazzo Diana, ex sede Dc. Da anni la pallamano per carenza di risorse è finita in una sorta di limbo, si sta gradatamente spegnendo e come se vivesse in simbiosi con la sua creatura si stava spegnendo anche lui che la pallamano l’aveva scoperta quasi per caso. Da tempo aveva preferito uscire di scena, scelta dignitosa di fronte all’agonia del suo amato club. Lo sport triestino abbraccia la moglie Rossana, i figli Marco (abile ala di seconda generazione), Martina e tutti quei suoi ragazzi delle Grandi Imprese che si era allevato e che ora si sentiranno un po’ orfani.
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