Vajont: collaudi abusivi mentre il monte Toc frana
I collaudi di riempimento del bacino artificiale tra lentezze burocratiche e anticipazioni illegali della Sade. L'acqua va e viene nel tentativo di frenare o controllare le frane che si staccano dal monte Toc
La costruzione del bacino artificiale del Vajont, che nell'ottobre 1963 distruggerà la vita intorno a sé, è una continua gara della società Sade ad anticipare permessi e autorizzazioni o a fare come se fossero un dettaglio secondario. Fu così per la costruzione della diga. Fu così per le prove di riempimento del lago, che procederanno in un continuo leva-e-metti nell'inutile tentativo di eliminare i rischi delle frane.
Una nuova domanda di costruzione della diga del Vajont era stata inoltrata al Consiglio superiore dei Lavori pubblici il 31 gennaio 1957. La quota massima di invaso passava da 679 (concessione del 1948) a 722,50 metri sul livello del mare e la capacità da 71 a 169 milioni di metri cubi d'acqua.
Con i suoi 266 metri, la diga del Vajont sarebbe diventata la più alta del mondo. L'autorizzazione al progetto arriverà a giugno. La Sade però non ha perso tempo, la diga è già in costruzione – abusivamente – da inizio anno.
È considerata un'opera “di pubblica utilità”: la Sade ottiene un contributo statale pari al 45 per cento delle spese di costruzione. Incassa le prime due rate entro il 1959. L'ultima (285 milioni) deve essere liquidata a collaudo avvenuto: le cose andranno diversamente.
Le prove di invaso
Per collaudare una diga, ci si versa dentro l'acqua e si vede se la struttura tiene. Ovviamente non si riempie il bacino tutto in una volta: si fanno diverse prove di invaso, prima poca acqua, poi un po' di più, e così via fino alla quota di collaudo.
La Sade presenta la richiesta per una prima prova di invaso (fino a quota 600 metri) il 28 ottobre 1959, mentre sono ancora in corso le indagini sulla stabilità dei versanti. Il 9 febbraio 1960 arriva l'autorizzazione fino a quota 595. Ancora una volta – e succederà anche per tutte le prove successive – l'azienda aggira le lentezze burocratiche dello Stato: dal 2 febbraio ha cominciato a versare acqua nel lago del Vajont.
Nel frattempo, sulla diga di Pontesei è morto un uomo, travolto da una frana crollata nel lago: la Sade non se ne preoccupa più di tanto, e va avanti con i lavori. Non si preoccupa nemmeno delle indagini geologiche da lei stessa commissionate, che hanno rivelato la presenza di una grande frana sopra il bacino del Vajont.
Gli invasi continuano: la richiesta per la seconda prova (fino a quota 660) è del 10 maggio 1960. L'autorizzazione arriva a fine maggio, a invaso già iniziato.
Nel 1959, l'azienda ha fatto in modo di denunciare Tina Merlin, che da tempo segue le proteste degli abitanti di Erto contro gli espropri dei loro pascoli. L'anno successivo però la giornalista dell'Unità viene assolta, anche perché nel frattempo la frana ha cominciato a muoversi: il 4 novembre 1960 crollano nel bacino del Vajont 700mila metri cubi di montagna.
Dal lago, a quota 650, si solleva un'onda di dieci metri, che per fortuna non fa danni. Le proteste degli ertani cominciano a mutare: non ci si preoccupa più (solo) del furto di campi e casere, ma della sicurezza del paese, sempre più vicino alla superficie dell'acqua, che continua a salire.
L’idea della Sade
La Sade a questo punto decide di rallentare: sottrae acqua fino a portare il lago a quota 592 metri. La frana si ferma. Tra febbraio e settembre 1961, l'azienda costruisce una galleria di sorpasso sul versante destro del Vajont: una condotta di due chilometri che, nel caso una frana cadesse nel lago, dividendolo in due, consentirebbe comunque il deflusso dell'acqua tra le parti. L'idea della Sade è di provocare artificialmente (con ripetuti invasi e svasi) lo scivolamento nel lago del versante del Toc, in modo da creare un punto di appoggio per la grande frana.
Nessuno, fuori dalla Sade, sa cosa sta succedendo: non lo sanno gli organismi di controllo, che l'azienda si guarda bene dall'informare, non lo sanno le istituzioni locali, non lo sanno i contadini di Erto. Le frane quassù si vedono, però: la preoccupazione cresce, e coinvolge anche il Consiglio provinciale di Belluno. La visita del presidente Alessandro Da Borso ai ministri dei Lavori pubblici e delle Finanze si risolve in un nulla di fatto: “La Sade - riferisce - è uno Stato nello Stato”.
Il 17 ottobre 1961 la diga è inaugurata: la Sade non attende nemmeno di vedere i risultati dell'esperimento su modello che aveva commissionato per capire i possibili effetti della frana sul bacino del Vajont. Una settimana prima dell'inaugurazione era cominciato – sempre prima dell'autorizzazione statale – un nuovo invaso lento.
All'inizio di dicembre la Sade chiede il permesso di alzare il lago fino a 680 metri: il Servizio dighe dà il via libera per i 655 metri (fine dicembre), quindi per i 675 (febbraio 1962). A questo punto, però, la frana è di nuovo in movimento, e si sentono sempre più frequentemente scosse e boati.
La Sade va avanti: il 3 maggio richiede l'autorizzazione per continuare a salire fino a quota 700 metri. Un mese dopo arriva l'ok. La frana accelera e a novembre, raggiunta quota 700, si sposta di un centimetro e mezzo al giorno. E' di nuovo il momento di "svasare": in cinque mesi il lago viene abbassato di più di 50 metri. Nel marzo 1963, la frana è ferma.
La nazionalizzazione
Nel frattempo, il 6 dicembre 1962 è stata approvata la legge n. 1643 sulla nazionalizzazione delle imprese idroelettriche. Il 16 marzo del 1963 la Sade (non solo gli impianti, anche tutto il personale, dirigenti compresi) passa all'Enel. Sul Vajont nulla cambia, anche perché fino al 27 luglio la Sade mantiene funzioni di custodia e gestione della diga per conto dell'ente pubblico.
Una curiosità: nel verbale di consegna dell'impianto, il Vajont figura come serbatoio "in esercizio" che alimenta la centrale del Colombèr dall'inizio del 1963. A parte il fatto che l'avvio della centrale del Colombèr era considerato una prova sperimentale, certo non si può dire che la diga sia in esercizio: non è nemmeno terminato il collaudo.
Il 20 marzo 1963 la Sade chiede l'autorizzazione per l'ultimo invaso necessario al collaudo. La quota richiesta è 715 metri, 15 metri (e cento milioni di metri cubi d'acqua) superiore al limite di "assoluta sicurezza” stabilito dall'esperimento su modello nel luglio del '62. La relazione sull'esperimento non è mai stata consegnata agli organi di controllo – così come tutti gli altri documenti sfavorevoli agli interessi dell'azienda – per cui il Servizio dighe il 22 aprile concede l'autorizzazione.
Si parte da quota 650. A fine giugno il lago è a 700 metri, in luglio a 710. La frana riprende a muoversi, sempre più veloce man mano che il livello del lago aumenta: a metà settembre scivola alla velocità di un centimetro al giorno, a fine settembre la velocità è raddoppiata.
Dal 26 settembre inizia uno "svaso veloce": il 9 ottobre 1963 il lago è a 700,4 metri. Praticamente alla quota che l'esperimento su modello aveva definito “di assoluta sicurezza”: in caso di frana, l'ondata prodotta sarebbe stata di soli 30 metri e non avrebbe tracimato oltre la diga.
Lo svaso però finisce per sottrarre alla frana il piano d'appoggio costituito dell'acqua: il 4 ottobre la frana avanza di cinque centimetri. Si sentono boati e tremolii, si vedono gli alberi inclinarsi e cadere. La mattina del 9 ottobre la frana si sposta di altri 30 centimetri. Alle 22:39 piomba nel lago in meno di 30 secondi.
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