Sulla diga del Vajont con visita guidata per capire. Finalmente

Il primo impatto con la diga e la frana che causò la tragedia non è semplice: la gente non sa bene che aspettarsi. Un centro visitatori del Parco delle Dolomiti friulane e una cappella in memoria delle vittime aiutano chi arriva fin qui a vedere con i propri occhi

Michele Giacomel
Una visita guidata sui luoghi del Vajont
Una visita guidata sui luoghi del Vajont

“Allora, dov’è il masso che è caduto nel lago?” Il primo impatto con la diga del Vajont e la frana non è semplice. La gente arriva, si guarda intorno, e non capisce. E spesso non capisce perché della storia del Vajont si sa poco.

Serve uno sforzo di immaginazione per rendersi conto che la collina dietro la diga, il piazzale dove vengono accolti i turisti, persino il posto a pagamento dove hai lasciato la macchina è la frana. Il paesaggio toglie i punti di riferimento che ci si aspetterebbe di avere visitando un lago artificiale, o almeno quello che ne resta. Le varianti sulle domande nate dallo stupore sono più o meno sempre le stesse: “Ma la frana dov’è?”, “Che fine ha fatto l’acqua?”, “Ma la diga non era crollata?”.

Con gli occhi alla ricerca della frana

I primi a capire si riconoscono perché alzano lo sguardo sul panorama nel suo insieme, e col dito lo fanno vedere agli altri. I lastroni di roccia liscia, nuda, di fronte a loro ma centinaia di metri più in alto, il profilo della frana che ha trasformato la valle in una collina lunga due chilometri, la pancia interna della diga, che esce dal terreno per poche decine di metri anche se era la più alta del mondo.

La frana è così grande che non si riesce a vederla per tutta la sua lunghezza. Qualcuno si ferma a leggere lo striscione appeso alla staccionata del piazzale, “487 sono i bambini sotto i 15 anni morti non per incuria ma per colpa”, e poi segue per un tratto il percorso di fazzoletti colorati, che ne riportano nome ed età, verso la diga.

“Nei mesi estivi riceviamo centinaia di visite al giorno”, spiegano all’ufficio informazioni del Parco delle Dolomiti friulane nel piazzale: da lì partono le visite guidate alla diga. La loro giornata comincia alle 9:30, la prima visita parte alle 10:00, ce n’è una ogni mezz’ora fino alle 17:00. “Quando arriviamo troviamo già i primi turisti, qualcuno ha dormito qui in camper”.

Bikers, camper & bancarelle

Il discorso si interrompe: a fianco del piazzale passano una decina di moto, bikers saliti fin quassù per godersi i tornanti della Valcellina. Entrano nel piazzale, senza smontare né spegnere il motore fanno il giro, si guardano attorno e poi ripartono. A volte capita che si fermino al chiosco dietro l’ufficio informazioni per bere qualcosa. “La maggior parte di loro non ne sa molto sul Vajont – riprende la guida - Ne hanno sentito parlare, magari dieci anni fa hanno visto un documentario. Invece, quelli che vengono in gruppi organizzati hanno una preparazione diversa. In genere sono accompagnati da qualcuno che conosce bene la storia del Disastro: gente che è già stata qui, soccorritori di allora o superstiti”.

La gola del Vajont dall'elicottero nella foto di Luigi Rivis
La gola del Vajont dall'elicottero nella foto di Luigi Rivis

Tra le auto parcheggiate nel piazzale ci sono bancarelle: vendono libri, raccontano la storia del Vajont per sommi capi a chi non ha il tempo per la visita al coronamento della diga. Sotto un gazebo sono esposti alcuni plastici della valle, prima e dopo del disastro, che attirano la fantasia dei ragazzini.

Le visite guidate

La visita alla diga parte di fronte al Centro informazioni: la guida raccoglie i visitatori, poi subito si sposta davanti alla chiesetta di fronte alla diga, di fianco alla strada. È dedicata ai morti sul lavoro nella notte del 9 ottobre. La guida ha cinquanta minuti per spiegare storia e dinamiche della tragedia, far attraversare il coronamento, rispondere alle domande. Numeri del “come”:
> “La diga a doppio arco ha 261,60 metri di altezza 190 metri di lunghezza al coronamento per 725 metri di quota con 23 metri di spessore alla base e solo 3,5 alla sommità per un totale di 360mila metri cubi di puro calcestruzzo con un invaso di 152 milioni di metri cubi".
> " La sera del 9 ottobre 1963 una frana compatta di 260 milioni di metri cubi con spessori variabili da 100 a 250 metri cade nel bacino che era ad una quota di 700 metri sul livello del mare ad una velocità di 90 km all’ora e solleva un’onda di 200 metri di 50 milioni di metri cubi 30 dei quali si dirigono verso il Piave con un fronte di 150 metri creando uno spostamento d’aria pari a 2 bombe atomiche di Hiroshima che distrugge Longarone prima dell’arrivo dell’acqua".
> "I morti furono 1910 di cui 1450 a Longarone 109 a Codissago e Castellavazzo e 158 a Erto e Casso”.

La gente ascolta impressionata, con lo sguardo cerca nel paesaggio le parole della guida e si chiede il “perché”. Allora comincia la storia della costruzione, dei protagonisti, del processo.

Poco più in là, sulla statale, arriva una corriera. Non ha spazio per scaricare i passeggeri, nemmeno per fermarsi, ma si spiaggia comunque a bordo strada e il traffico si intasa. Solo le moto, rombando, riescono a passare. Quanto basta per perdere un po’ di concentrazione e uscire dal racconto.

Poi il gruppo attraversa la diga: a metà del coronamento si vede Longarone nella valle del Piave. Fa impressione, così piccola e lontana. La gola del Vajont sembra la canna di un fucile, e Longarone è di fronte. La visita è finita e si torna al piazzale. Continua così per tutto il giorno, fino alle 18:30. Allora le guide chiudono il punto informazioni, il chiosco chiude la cassa, i banchetti chiudono i libri invenduti nei bauli delle macchine e se ne vanno. C’è ancora qualche visitatore: si guarda intorno, chiede “Faccio ancora in tempo per la visita?” “Mi dispiace, sono finite”. “Ah. Però mi tolga una curiosità: il lago dov’è"?

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