Predisse il disastro del Vajont 18 anni prima: «In sogno ho visto il Toc che crollava e i morti che galleggiavano nel fango»
Il protagonista è Don Guido Bortoluzzi, parroco di Casso. Tra le pieghe di fatti e antefatti del disastro ci si imbatte anche in una vicenda in cui fede e storia si intrecciano.
Una visione mistica su cui la Chiesa sta ancora indagando ma che di fatto predisse il disastro del Vajont con 18 anni di anticipo. Tra le pieghe di fatti e antefatti del disastro ci si imbatte anche in una vicenda in cui fede e storia si intrecciano.
Il personaggio
È il 1945 e don Guido Bortoluzzi è parroco di Casso. Il prete bellunese è già noto nel mondo ecclesiastico per alcune frasi pronunciate sul suo conto – e su quello del compagno di seminario Albino Luciani – da don Giovanni Calabria e da un Servo di Dio, il peruviano padre Mateo Crawley. «Uno diventerà grande ma durerà poco, l’altro vedrà cose nascoste ai più», avrebbe profetizzato don Calabria parlando con il rettore dei due alunni.
È a Casso che don Guido ha una sorta di sogno a occhi aperti.
«Mi è apparso il monte Toc mentre crollava, l’acqua spazzava via i paesi e i morti galleggiavano in un lago di fango», scrisse nei suoi appunti il sacerdote che si confidò anche con i superiori e con le autorità civili
Peccato che in quel momento in val Vajont non esistesse alcun bacino idroelettrico né tanto meno la diga. Nessuno sapeva ancora che qualche mese prima, nel caos dell’armistizio del 1943, a Roma si era deciso di realizzare un invaso proprio ai piedi di Erto e Casso.
Don Guido non si dà per vinto e spedisce accorate lettere a ogni ente e ufficio che potrebbe essere interessato alla questione. Bollati come il frutto di una mente isterica, i suoi allarmi finiscono nel cestino pur contenendo particolari dettagliati della successiva tragedia.
«A Casso non arriverà l’acqua quanto le pietre», diceva descrivendo i massi che il 9 ottobre 1963 si abbatterono letteralmente dal cielo sulla borgata a causa dello spostamento d’aria.
Nel 1953, dieci anni prima della catastrofe, don Bortoluzzi è nuovamente trasferito di sede e in breve tutti dimenticano quegli strani appelli. Dopo qualche mese dalla sua partenza in valle arrivano le prime squadre di ingegneri e geologi. Poi parte in pompa magna il cantiere della diga. Solo all’indomani della sciagura gli ammonimenti del presule vengono interpretati come una premonizione inascoltata.
Nel frattempo il religioso continua nell’opera pastorale, ma mantiene sempre un carattere schivo e umile. L’unico a credere veramente in lui è il Patriarca di Venezia e suo ex compagno di banco in seminario, il cardinal Luciani che dopo qualche tempo sarebbe salito al soglio pontificio con il nome di Giovanni Paolo I.
Le visioni proseguono e riguardano soprattutto la creazione del mondo, con aspetti scientifici che ancor oggi destano l’attenzione degli esperti.
Don Bortoluzzi morirà l’8 ottobre 1991, un giorno prima del terribile anniversario del Vajont e il giorno dopo aver compiuto 84 anni. I suoi scritti, tuttora oggetto di studi da parte del clero, suscitano curiosità e interrogativi vista la dovizia di particolari con cui in anticipo di quasi due decenni narrò della frana del monte Toc.
«Altro che pazzo, don Guido era un vero mistico che merita di essere ricordato per l’impegno sociale», tuona don Matteo Pasut, parroco di Erto negli anni Settanta. Secondo lui il confratello bellunese deve essere riabilitato al più presto. «In tanti dovrebbero manifestargli delle scuse, sia pure postume», afferma Pasut, che è convinto della fondatezza della premonizione sul Vajont alla pari di tanti altri sostenitori e fedeli: alcuni di loro hanno anche aperto il sito www.genesibiblica.org dove sono reperibili testimonianze, documenti e vari approfondimenti.
Del resto l’intera vita di don Guido Bortoluzzi è costellata di episodi al limite dell’inverosimile come l’incontro con la Serva di Dio Teresa Neumann: il colloquio, avvenuto alla presenza di più persone, avrebbe dimostrato la dote della bilocazione della veggente tedesca, mai uscita fisicamente dai confini della Germania. Tra l’altro, il sacerdote ebbe modo di conoscere personalmente anche il frate cappuccino San Pio da Pietrelcina, il quale a propria volta gli avrebbe preconizzato «sofferenze e dolori a causa dell’incredulità umana»
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