La diga del Vajont: capolavoro di ingegneria, nel posto sbagliato
Solo tre anni per costruire la diga a doppio arco più alta del mondo. Il "biglietto da visita" per il lavoro italiano all'estero. Ma la frana che portò la morte nel Vajont fu cinque volte più grande di quella attesa
La diga portava prosperità, la diga era un portento ingegneristico. La diga era costruita sotto un monte franoso e segnò la disgrazia per un'intera popolazione. La storia della costruzione dello sbarramento del Vajont è il racconto di un fallimento sociale basato su un successo tecnico.
I lavori cominciarono nell'estate del 1957 e terminarono tre anni dopo, nel 1960. In un periodo in cui per i bellunesi era più facile trovare un impiego in Svizzera, il cantiere della Sade diede lavoro a centinaia di persone, tra tecnici e operai. Soprattutto a Erto e Casso, molti abitanti si erano specializzati nella costruzione di dighe in giro per il mondo, erano una manodopera qualificata già bella e pronta.
Durante i lavori persero la vita sei operai. La diga del Vajont completava un complesso sistema di impianti idroelettrici distribuiti lungo la parte alta del Piave: sei dighe e quattro centrali collegate tra loro da 60 chilometri di gallerie.
L'acqua veniva convogliata alla centrale di Soverzene, poco più a sud di Longarone. Il canyon scavato dal torrente Vajont era stato scelto dall'ingegnere Carlo Semenza, progettista della Sade, dopo una serie di sopralluoghi e rilevamenti: “La stretta e profonda gola rocciosa – si legge nella relazione tecnica al progetto esecutivo del 1958 – entro la quale si incassa il corso del Vajont [...] presenta caratteristiche tipicamente favorevoli alla costruzione di uno sbarramento a volta anche di rilevante altezza”.
Le dimensioni
Il posto perfetto per costruire la diga a doppio arco più alta del mondo: 261,60 metri di altezza, 190,50 metri di larghezza al coronamento, 22,11 metri di spessore alla base, 3,40 metri di spessore sul coronamento.
Altissima e sottile, aggraziata, è una signora diga, sostengono gli estimatori. A doppio arco: curva sia sul piano orizzontale – con la pancia verso il lago – che su quello verticale. È costituita da tanti blocchi indipendenti, i conci, all'interno dei quali non ci sono armature di acciaio: la diga resiste alla pressione dell'acqua solo grazie alla sua forma, come gli archi romani di migliaia di anni fa.
I lavori
Tre anni per innalzare un'opera di questo tipo sono decisamente pochi: nei periodi più intensi si lavorava anche di notte. Come prima cosa, venne costruita un'avandiga per deviare le acque del torrente Vajont e isolare la zona del cantiere. Nel primo anno scavarono le imposte della diga, consolidarono la roccia e armarono le pareti della gola.
Molti lavoratori venivano da fuori, come questi minatori abruzzesi: Gli operai lavoravano su ponteggi pensili ad altezze vertiginose (anche 270 metri) e su inclinazioni notevoli: partendo dall'alto, facevano saltare la roccia con cariche esplosive, quindi consolidavano le pareti. Il materiale derivante dallo scavo veniva trasportato fuori dalla gola su camion che venivano calati nella valle da una gru.
Tra il Piave e il torrente Vajont, fuori dal canyon, si preparava la ghiaia, che poi veniva spedita tramite teleferica 300 metri più in alto. Qui veniva preparato il calcestruzzo e nell'agosto del 1958 si cominciò a costruire. Nel settembre del 1960 – 351.000 metricubi di calcestruzzo dopo – la diga era pronta: ancora oggi è considerata un capolavoro di ingegneria e tecnica costruttiva.
A sinistra della diga venne costruita la cabina comandi dalla quale gli addetti – presenti 24 ore su 24 – controllavano il livello del lago e gestivano l'apertura delle paratoie. Dalla cabina partiva un ascensore che scendeva giù fino allo scarico di fondo.
Il lago
Il lago del Vajont aveva una capacità massima di 169 milioni di metri cubi e una quota massima di 722,50 metri sul livello del mare. Era lungo più di cinque chilometri e largo uno. Ma non era alimentato solo dal torrente Vajont: vi confluivano anche le acque del lago di Pieve di Cadore, quelle del Maè da Pontesei e quelle dell'Alto Cellina, in teoria.
Il precedente
Le gallerie per la Valcellina non vennero mai completate. Con l'inizio del riempimento, cominciarono a notarsi crepe e slittamenti nel terreno. Il 4 novembre 1960 una frana di 700.000 metri cubi di bosco e prato cadde nel lago: il livello dell'acqua era molto basso e non ci furono danni.
La Sade decise comunque di costruire una galleria di sorpasso di due chilometri: doveva servire a mantenere la continuità idraulica tra le due parti del bacino che si sarebbero potute formare con la caduta di una frana dalla sponda sinistra. Gli esperti si erano premuniti per una frana di 50 milioni metri cubi, ma la massa di roccia che si staccò dal Toc il 9 ottobre 1963 fu cinque volte più grande: 260 milioni metri cubi. (a.c)
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