Il Cannibale in volata tra l’ingresso e il salotto
Da tempo Eddy Merckx non rideva così. Con due lacrime che gli rigavano le guance. Incapace di riprendere fiato per spiegare a sua moglie Claudine cos’era stato a provocargli tanta ilarità.
Dopo un po’, le allungò un foglio: «Viene dall’Austria». Mentre un nuovo singulto lo costringeva a comprimersi lo stomaco.
Claudine lesse in silenzio, alzò lo sguardo e chiese attonita: «Chi è questo… Thomas Bernhard? Non me ne hai mai parlato…».
Merckx cercò di soffocare un’altra risata. «All’inizio l’ho confuso con quel ciclista francese. Ricordi? Ma lui fa Bernard di nome, il cognome è Thévenet…».
Claudine sospirò. «Perché il signor… Bernhard ti sfida in bicicletta se nemmeno ti conosce?».
In effetti, la lettera sembrava scritta da un mitomane.
Cominciava così: «Egregio Signor Cannibale».
Ma quello, a ben pensare, non era poi tanto strano. Visto che, nel mondo del ciclismo, tutti chiamavano Merckx Il Cannibale.
Soprannome perfetto. Perché Eddy, nella sua carriera, aveva collezionato 525 vittorie, su strada e su pista, tra cui cinque Giri d’Italia e cinque Tour de France, una Vuelta España, sette Milano-Sanremo, tre campionati del mondo. E poi: cinque Liegi-Bastogne-Liegi, tre Parigi-Roubaix, due giri di Lombardia, tre Freccia Vallone, due Giri delle Fiandre, tre Gand-Wevelgem.
Adesso, però, il Cannibale era un signore sovrappeso
Adesso, però, il Cannibale era un signore sovrappeso. Per colpa delle troppe arachidi salate, dei panini imburrati e dei formaggi francesi: tutti cibi vietati prima che si ritirasse dalle corse.
E poi, il suo cuore, che batteva un ritmo lento di samba, preoccupava i medici: «Troppi sforzi in bici», lo ammonivano con facce da menagramo.
“Corvacci del malaugurio”. C’era ben altro a tormentare il Cannibale. Perché questo Bernhard gli aveva lanciato il guanto della sfida?
Entrò nel suo studio. Chiamò un amico giornalista di “Le Soir”. Scoprì, così, che l’austriaco era uno scrittore famoso, candidato al Nobel per la letteratura. Anche se lui diceva convinto: «Non me lo daranno mai».
Più di quello, a incuriosire il Cannibale furono le storie che si raccontavano su Bernhard.
Che la sua donna fosse più vecchia di 36 anni e lui la chiamasse zia.
Che avesse una stanza strapiena di scarpe.
Che il suo Paese lo odiasse perché non smetteva mai di ricordare che l’Austria aveva osannato Adolf Hitler.
Poi, il giornalista rivelò al Cannibale una storia ancora più buffa: «Lo scrittore non esce mai in bici. Preferisce pedalare dentro casa, per non vedere le brutte facce dei suoi vicini».
Il Cannibale ricominciò a ridere. Poi, scrollando le spalle, borbottò: «Raccontavano di me che mangiassi pane e cortisone. E che girassi con una livella in tasca per controllare la giusta altezza della sella» .
Nella lettera, Bernhard diceva di aver disegnato il percorso di gara dentro casa. Nella fattoria di Obernathal, frazione di Ohlsdorf, vicino al lago di Gmunden, nel nord dell’Austria.
Bizzarra l’idea, strampalata la sfida, però lui era pur sempre il Cannibale. Non poteva rifiutare.
Accarezzandosi la pancia, decise di chiamare il vecchio costruttore di biciclette. Quello che per anni gli aveva disegnato fantastici telai.
Così, il giorno della sfida, il Cannibale era tirato a lucido come se dovesse correre un’altra Milano-Sanremo.
E Bernhard? Per non scoppiare a ridergli in faccia, Merckx dovette mordersi le labbra.
La bici dell’austriaco era un ferrovecchio con parafanghi, cestino, fanale e campanello.
Lui, poi, era vestito come uno Schützen
Lui, poi, era vestito come uno Schützen: corte braghe color vomito, una camicia a quadri, calzettoni di lana fino al ginocchio.
Ma quello che incuriosiva di più Merckx erano le scarpe: vecchi mocassini lucidati fino a farli brillare.
Bernhard non perse tempo in cerimonie. Disse: «Si parte dall’ingresso. Tre giri completi della casa». Aggiunse: «Nessun giudice di gara. Del resto, sarebbe squallido barare tra di noi»” .
Il Cannibale volle concedersi un po’ di riscaldamento. Mise la bici ultraleggera sui rulli, che si era portato da casa. Indossò le scarpe da allenamento, agganciò le tacchette ai pedali. Alternò scatti e decelerazioni del ritmo.
Lo scrittore lo scrutava imperturbabile. Appollaiato su un divanetto, di tanto in tanto sorrideva.
Quando Merckx si sentì pronto, tolse la bici dai rulli e infilò le scarpe da gara.
Non fece in tempo ad alzare lo sguardo, che Bernhard era già schizzato davanti a lui.
In pochi metri, tra loro si creò un distacco enorme.
Come un indemoniato, lo scrittore sbandava sulle curve, si rimetteva in equilibrio e ripartiva veloce.
Il Cannibale, bloccato sui pedali, doveva sganciare le tacchette ogni volta che rischiava di sbattere contro qualche mobile. Così, perdeva sempre più terreno.
Al secondo giro, Merckx si arrese: non sarebbe più riuscito a raggiungere il suo avversario.
E come in un malefico incantesimo gli sembrò di rivivere quel terribile giorno.
L’11 luglio del 1975.
Quando Bernard Thévenet lo aveva staccato in salita, a Pra Loup, nella quindicesima tappa del Tour de France.
Un calvario lungo quattro chilometri.
Il ricordo della sconfitta non aveva mai smesso di tormentarlo
Il ricordo della sconfitta non aveva mai smesso di tormentarlo. Anche perché il corridore francese della Peugeot si era conquistato in fretta l’appellativo di “tombeur de Merckx”. Il becchino di Merckx.
Bernard o Bernhard? Sempre da lì arrivavano le sonore batoste, per il Cannibale.
Smettendo di pedalare, Eddy proseguì in souplesse fino all’arrivo.
Lo scrittore lo aspettava seduto a terra.
«Sa perché ho vinto?», gli chiese ghignando.
Con i pollici indicò le scarpe.
Rivelò che quei mocassini non erano mai usciti da casa, da quando li aveva comperati. «Vanno di fretta, vorrebbero scappare. Là fuori c’è un mondo da esplorare».
A quel punto, il Cannibale propose uno scambio: avrebbe regalato allo scrittore la bici in titanio. In cambio gli chiedeva le scarpe.
Bernhard tentennò, prese tempo.
Con uno sbuffo, allungò i mocassini al Cannibale. «Sono suoi», disse a bassa voce. «Con questi avrebbe vinto anche a… Pra Loup».
Poi, percorse a ritroso il corridoio della casa e sparì.
Riapparve, poco dopo, con un sorriso luciferino.
Ai suoi piedi c’erano altri mocassini. Lucidissimi
Ai suoi piedi c’erano altri mocassini. Lucidissimi.
Si avvicinò al Cannibale, lo prese sottobraccio: «Pronto per la rivincita?».
Con quelle parole che gli rimbombavano in testa, Merckx si svegliò ansimando. «Che incubo…».
Accanto a lui c’era una copia di “Un bambino”. Aperto alla pagina del romanzo autobiografico in cui Thomas Bernhard scriveva: “L’eletta schiera dei ciclisti io l’avevo ammirata fin dai primi istanti”. —
Riproduzione riservata © Il Piccolo