Porto Vecchio, un confronto aperto a tutti i contributi per il futuro di Trieste

Continua il dibattito promosso da Il Piccolo sul futuro dell’antico scalo  

Francesco Codagnone

Il 30 luglio Il Piccolo apriva a pagina 19 con il titolo “Lavori da 600 milioni per Porto Vecchio – il progetto di recupero dell’antico scalo, la giunta approva la proposta di Costim”, consegnando così alla cronaca cittadina un tema che inevitabilmente determinerà i principali assetti di Trieste per i prossimi cinquant’anni. Almeno.

Inizia così un confronto in cui le parti politiche, non sempre allineate, presto lasciano spazio alle voci dei cittadini che rappresentano, divisi anche loro tra riflessioni e aspirazioni di futuro per quei 66 ettari disabitati.

Il primo a intervenire, almeno pubblicamente, è l’imprenditore Federico Pacorini, che il 29 agosto condivide su questo quotidiano una lettera aperta diretta al sindaco. «Ventisette anni fa – rammenta – guidavo la pacifica invasione dello scalo, trovando un entusiasmo e una partecipazione che invece oggi non vedo».

Ma quell’attenzione in realtà non si è persa, forse solo sopita, come testimoniato da lettere, e-mail, messaggi whatsapp, segnalazioni inviate direttamente a queste colonne da decine di cittadini dopo appunto che il Piccolo ha deciso di aprire la discussione civica.

E poi ribadito a gran voce il 2 settembre dall’ex magistrato Raffaele Morvay, il presidente del Trieste Airport Antonio Marano, l’imprenditrice ed esperta di turismo Serena Cividin e il presidente dell’ordine degli ingegneri Giovanni Basilisco; poi da quella degli architetti Graziella Bloccari, apparsa il 9 settembre con l’imprenditore Giorgio Tomasetti, l’ingegnere civile Francesco Cervesi e l’avvocato Gianfranco Carbone. Il dibattito è aperto, la partecipazione onesta e i caratteri su queste pagine mai sufficienti.

L’ex manager comunale Conte: «Rigenerazione o pura opera edilizia?»

Enrico Conte
Enrico Conte

«È un po’ come se si sia deciso di esternalizzare, in blocco, la trasformazione del Porto Vecchio», sintetizza Enrico Conte, per più di vent’anni manager di punta dell’amministrazione municipale. «Premetto – dice, scorrendo i documenti a oggi disponibili sulla proposta di project financing avanzata da Costim per la riqualificazione dello scalo – che le sole carte che ho avuto modo di esaminare sono la delibera e la relazione conclusiva allegata, molto sintetiche e perlopiù centrate sul profilo tecnico-economico dell’operazione: beninteso molto importante, perché si doveva dimostrare che l’equilibrio del Piano economico finanziario c’è e che il rischio operativo del progetto è a carico dell’imprenditore». Premesso questo, sottolinea, «penso si possano fare delle riflessioni».

Porto vecchio: il futuro di Trieste al bivio

La prima è su Costim. Il nome dell’operatore privato interessato a ristrutturate i magazzini del Porto Vecchio è stato cercato per mesi, in contesti – la fiera di Cannes, lo stesso “Chorus life”che la controllata Polifin sta realizzando a Bergamo – in cui a prevalere è la dimensione immobiliare. «Non c’è quindi da stupirsi se – incalza Conte, andato in pensione tre anni fa come dirigente dei Lavori pubblici del Comune – è stato trovato un “acquirente” con un profilo da real estate, al quale si vuole affidare la realizzazione di operazioni così complesse», quali l’alienazione degli hangar e la concessione pluridecennale dei beni demaniali. «Forse – aggiunge – se i contesti frequentati avessero avuto più attinenza con la dimensione urbana e la sua rigenerazione non settoriale, l’investitore avrebbe avuto un altro profilo: più centrato su aspetti di recupero, integrato con l’abitato esistente».

In questi giorni, peraltro, proprio a Bergamo c’è il “Landscape festival”. «Magari – ipotizza Conte – ci saranno spunti per la nostra città, perché nei documenti non risulta nulla con riguardo al profilo architettonico, al valore paesaggistico, nonostante il Porto Vecchio – ricorda – sia sottoposto a vincolo». «E non risulta neanche – aggiunge Conte – alcuna integrazione con i residuati di archeologia industriale, la Centrale idrodinamica e la Sottostazione elettrica, che andrebbero ulteriormente valorizzati, anche in chiave turistica, costituendo questi la storia dello scalo. Non risulta alcun nesso con l’attiguo Urban Center, primo edificio valorizzato con i fondi Por Fesr nell’operazione di trasformazione dello scalo».

Le finalità specifiche delle trasformazioni dei magazzini non sembrano «raccontate» nei documenti. «È come se – continua – vengano rimesse alla lettura dei futuri elaborati e alle loro relazioni, a oggi non disponibili». I documenti, precisa, espongono un lavoro «molto complesso e condotto da una varietà di professionisti», ma resta ancora difficile comprendere e immaginare il futuro del Porto Vecchio. Quanto ai partner, «brilla l’assenza», sottolinea, di Università e centri di ricerca, almeno in questa fase. «Che fine ha fatto – si chiede Conte – la Trieste città della scienza? Possibile che non ci sia stato interesse a sviluppare insediamenti attrattivi per ricercatori e studenti, anche solo un hub per le piste ciclabili collegate alla dorsale finanziata dal Pnrr che parte da Torino e, passando per Venezia, raggiungerà Trieste?» .

L'agorà sul Porto Vecchio di Trieste, voci a confronto in una città al bivio

E poi il sistema museale, quel nucleo di edifici attorno al Magazzino 26, che rimarranno pubblici ma andranno sviluppati e connessi con tutte le altre attività del Porto Vivo. «Che relazione c’è – domanda – tra questo nuovo insediamento e il futuro Museo del Mare e l’Immaginario scientifico? È stata pensata la possibilità di insediare imprese creative o start up come fattore di attrattività per i giovani in città?». E ancora, «dov’è finito – si interroga – quello spirito degli imprenditori locali grazie al quale, in soli due anni, è stato realizzato il centro congressi?».

Resta che, conclude Conte, «volendo si è ancora in tempo per aggiungere qualcosa: ma a patto di non stravolgere il Piano economico o di prevedere offerte migliorative in sede di gara». —

La presidente di Fipe Fvg Suban: «Niente doppioni e pensare anche ai giovani»

Federica Suban
Federica Suban

Il pianoterra dei magazzini riqualificati sarà destinato a negozi e pubblici esercizi, ristoranti e bar che dovranno rispondere alla domanda – nuova e diversificata – degli abitanti del Porto Vecchio-Porto Vivo. Mense per ricercatori e studenti, soluzioni “veloci” per i dipendenti regionali in pausa pranzo, chioschi per gli sportivi di ritorno dall’attività nei campus. Tutto questo si tradurrà – in prospettiva – in nuove opportunità di investimento e posti di lavoro per il settore ma, come precisala presidente regionale di Fipe Federica Suban, dovrà essere «preceduto da una strategia chiara e una pianificazione dell’offerta che si vorrà creare in quell’area, per evitare – precisa – che l’apertura di nuove attività in Porto Vivo svuoti i locali del resto di Trieste».

La riqualificazione dello scalo significherà sessantasei ettari da aggiungere alla città e riempire di nuovi servizi per i cittadini e per i turisti che inizieranno a frequentarli. Circa 26 mila metri quadrati destinati al retail e al food&beverage, quindi negozi al dettaglio e locali. Fino a decine di nuovi bar e ristoranti. «Ad esempio – propone Suban – pensando al trasferimento degli uffici della Regione, serviranno soluzioni di ristorazione “veloce”, pensati per gli oltre mille dipendenti che frequenteranno quella zona durante la pausa pranzo». E ancora, «la realizzazione di uno studentato con centinaia di posti letto richiederà di pensare a locali o mense per i più giovani, con tariffe accessibili».

L’Iter per trasformare Porto vecchio di Trieste: il bando pubblico-privato con i bergamaschi in pole. Poi dieci anni di cantiere
Una veduta di Porto vecchio. Foto Silvano

Il programma di Costim prevede nove anni e mezzo di cantieri, procedendo secondo lotti autonomi. I primi magazzini saranno quindi pronti già prima, prevede il Comune, e così Porto Vecchio tornerà a essere frequentato. A quel punto si creerà una domanda tutta nuova. «È un percorso in divenire e – osserva la presidente regionale di Fipe – occorrerà capire mano a mano quali esercizi introdurvi: molto dipenderà dalla destinazione dei magazzini, da chi li acquisterà, da chi frequenterà il nuovo scalo».

Nella zona dedicata alla residenzialità, ad esempio, si potrà pensare a ristoranti a prezzi calmierati dedicati alle famiglie. In quella più settentrionale, riservata ad attività sportive e centri benessere, prevarranno bar per servire bibite fresche e sane. In tutto lo scalo andranno pensate soluzioni mirate per i turisti, ma non solo. «Se, come prevedono i progetti, l’utenza sarà diversificata, né puramente residenziale, né esclusivamente turistica, il nostro intervento – precisa Suban – dovrà essere mirato alle utenze».

Occorrerà evitare di realizzare copie e doppioni di locali già presenti e ben strutturati in altre zone della città. «Il rischio – osserva la presidente di Fipe – sarebbe uno svuotamento per Trieste: aprire locali in una zona per chiuderne in un’altra. E sappiamo come, in molti casi, la chiusura degli esercizi finisce per rappresentare la perdita di un punto di riferimento all’interno dei quartieri, con ricadute anche sulla sicurezza e la cura dell’arredo urbano».

Per evitare questo, e anzi trasformare il Porto Vecchio in una «vera opportunità per la categoria», bisognerà quindi proporre offerte modellate sulle richieste e le caratteristiche di un quartiere tutto nuovo. «Se ci saranno passeggiate sul mare – immagina Suban – si potrebbe pensare di aprire delle gelaterie. La presenza di marine, poi, sarebbe l’occasione per aprire un ristorante sul mare in una città di mare che, paradossalmente, a oggi non ne ha». E ancora, «più locali internazionali, e altri dedicati ai giovani: in città quello che manca non sono gli esercizi, ma spazi in cui ballare e fare festa». In un’area così grande come Porto Vecchio-Porto Vivo, allora, «si potrebbe finalmente creare l’opportunità – dice Suban – di far coesistere il bisogno di tranquillità dei residenti, con quello di divertirsi di chi vuole ascoltare musica ad alto volume». —

L’ex presidente dell’ente porto Zanetti: «Così si pregiudica una parte di Trieste»

Michele Zanetti
Michele Zanetti

Quale fu l’origine di Polis, il progetto con cui negli anni Novanta Generali e Fiat avrebbero dovuto sbarcare in Porto Vecchio? Il dibattito riacceso attorno al destino dello scalo riporta Michele Zanetti indietro di più di trent’anni, fino al periodo in cui da presidente dell’Ente autonomo del Porto di Trieste – carica che ricoprì dal 1977 al 1990 – portò avanti la responsabilità di quella proposta, mai realizzata, che prometteva una boccata di futuro.

Polis, racconta Zanetti, si proponeva di ridare nuova vita a una metà del Porto Vecchio, destinandola ad attività economiche, e di lasciare l’altra metà a terminale portuale. «Il progetto – rammenta – aveva anche lo scopo di trattenere a Trieste una parte importante dell’attività in espansione di Generali. Avrebbe dovuto essere guidato da una società formata dalle assicurazioni, dalla Fiat Impresit e dalla finanziaria portuale Finporto». Ma tutto questo non venne mai realizzato, affossato da «infondate diffidenze e piccole gelosie politiche: ancora oggi – dice – mi rammarico dell’occasione perduta».

Gli ostacoli da superare per la realizzazione di Polis erano molti. «A cominciare – incalza – dall’assenso del Demanio, che mi fu negato, sicché il problema fu risolto solo più tardi dall’iniziativa di Francesco Russo, che ottenne la possibilità di sdemanializzare il territorio portuale a condizione di compensarne la perdita altrove, come poi compiuto da Zeno D’Agostino». Una svolta che di fatto aprì la possibilità concreta di utilizzare quell’area immensa, possibilità mai però accompagnata da soluzioni realizzabili. «Da subito il nostro Comune – precisa Zanetti – ha lasciato che nascessero svariati progetti e voglie da parte di soggetti pubblici e privati, consentendo insediamenti anche utili, ma al di fuori di qualsiasi piano, senza procedere nemmeno al pur necessario risanamento e manutenzione delle reti idriche, fognarie ed elettriche».

Così, «senza un quadro di insieme», negli anni il Porto Vecchio ha assistito all’insediamento del museo istriano, dell’auditorium delle Generali, che si accompagnano al Magazzino 26. «Sappiamo inoltre – precisa Zanetti – che la Regione, non ancora soddisfatta di aver duplicato gli uffici in Udine, ha deciso di costruire nello scalo una sede nuova di zecca, aprendo così un ennesimo capitolo di vendite di sedi di assessorato». In questo scenario che Zanetti definisce «quantomeno bizzarro», il Comune «dimostra di non sapere che fare del Porto Vecchio e di aver bisogno di un parere da Costim, società che gode della fiducia del sindaco, mentre i triestini restano all’oscuro circa ciò che ci sarà nell’area».

«Sarebbe bene ricordare – sottolinea Zanetti – che il sindaco Marcello Spaccini, per impostare il Piano urbanistico della città da cui si è fatta la Gvt, aveva chiesto e ottenuto la consulenza del più grande urbanista allora vivente, Kenzo Tange. E, anche, che la Gvt fu realizzata senza il completamento previsto: ci fu infatti il diniego da parte della Sovrintendenza dell’autorizzazione a un asse viario che scendesse dal Carso verso il centro città. Il che – dice – fa riflettere in merito all’orientamento a cui essa si sia attenuta sulla contestata ovovia». «Credo si debba almeno rilevare – continua Zanetti – uno scarso rispetto di ogni ragionevole tempistica. Difetto, questo, che emerge in maniera preoccupante anche a proposito del nuovo viale monumentale di accesso alla città che attraverserà il Porto Vecchio: faciliterà certamente il flusso di auto, corriere e autobus, che crescerà con il crescere del turismo, ma che non troverà adeguate soluzioni di posteggio, mentre vengono eliminate le pur modeste aree a esso destinate, quelle del Molo IV».

Le conclusioni sono «semplici» ma rigorosamente severe. «Siamo amministrati male, e questo giudizio – dice – va esteso alla Regione, carente anche nel suo compito primario: quello della cura della salute dei cittadini». Resta quindi solo un invito ai cittadini di Trieste: «Scuotetevi dal torpore», dice Zanetti. «Indignatevi e fate in modo – conclude – di impedire che resti pregiudicata una buona parte del futuro della nostra amata città». —

La segretaria generale Sabbati*: trarre esempio da realtà internazionali

Federica Sabbati
Federica Sabbati

Ho letto l’interessante intervento di Federico Pacorini pubblicato su questo giornale a proposito del progetto di riconversione del Porto Vecchio. Da triestina che ha avuto il privilegio di abitare in diverse città europee, mi sono domandata: non possiamo trarre ispirazione dalle esperienze di rigenerazione urbana in campo internazionale?

Eh sì, perché Trieste non è la prima città ad avere l’opportunità di riconvertire una zona portuale dismessa. Che si tratti dei “Docks” di Dublino o la “Speicherstadt” ad Amburgo, quelli sono spazi che sono stati riconvertiti per essere restituiti alla comunità cittadina. Partire dal principio che il territorio cittadino è un “bene comune” della cittadinanza è la loro prima lezione.

Da questo concetto deriva un approccio sempre più comune in Europa e la seconda “buona pratica”: il coinvolgimento della popolazione nei processi di rigenerazione urbana, che allarga il pool di interessati, attrae innovazione e il “buy-in” della cittadinanza e l’interesse di investitori privati. Dalle consultazioni pubbliche sugli obiettivi, ai workshop di quartiere e il coinvolgimento dell’università, si crea un processo aperto dove si può migliorare fino alla fine, come è stato con il progetto Schuman a Bruxelles che ha aggiunto spazi verdi all’incrocio stradale più iconico del Quartiere Europeo.

La terza buona pratica: ripensare gli spazi cittadini in vista del cambiamento climatico e dell’aumento delle temperature. Ciò non sorprenderà chi ha passato le scorse settimane a Trieste: abbassare le temperature creando “isole verdi” deve essere una priorità per l’amministrazione della città. Cosa fanno altre città europee?

La Regione di Bruxelles studia l’esposizione della città ai rischi e alle conseguenze dell’effetto “isola urbana di calore”; tramite un progetto Ue, le città pilota di Dubrovnik, Marsiglia, Lisbona, Budva e Bologna sperimentano e scambiano iniziative e disegni urbani che migliorino il comfort termico nelle città durante l’estate, a beneficio di turisti e abitanti. Perché Trieste non è mai nella lista delle città che partecipano a queste iniziative?

L’ultimo suggerimento è di creare spazio alla cultura. Alcune fra le maggiori opere di rigenerazione urbana hanno proprio nella cultura il loro aspetto più marcato, come il porto di Marsiglia che ha fatto nascere il “Muceum”, il Museo delle civiltà Europee e Mediterranee; l’antico porto di Amburgo dove oggi sorge l’imponente auditorium “Elbphilarmonie”. Ma forse uno dei più vivaci progetti di ripensamento e rinascita di una città morente è italiano, si trova a Favara in Sicilia. “Farm Cultural Park” è sede di progetti di ricerca sperimentale, laboratorio e produzione creativa sui temi dell’arte, dell’istruzione, dell’ambiente: è diventato uno dei centri culturali indipendenti più influenti del mondo culturale contemporaneo.

«La rigenerazione urbana su base culturale è un progetto che abilita la capacità di guardare avanti di una comunità», dice il manager culturale e imprenditore Giancarlo Sciascia. Partecipazione della comunità cittadina nell’immaginare il futuro del Porto Vecchio, restituzione di un bene comune, attenzione alla sostenibilità e spazio alla cultura: perché non lasciarci stupire da un percorso nuovo e una destinazione inaspettata?—

*Triestina, lavora a Bruxelles come segretaria generale dell’Associazione dell’industria europea produttrice di sistemi di riscaldamento, come ponte fra mondo politico e industriale sui temi della transizione energetica. Laureata in Scienze Internazionali e Diplomatiche, un Master in Russian and Post Soviet Studies alla London School of Economics, prima donna segretaria generale dell’Internazionale liberale, e poi segretaria generale del Partito Alde– i liberal-democratici, la terza famiglia politica europea. È stata vicepresidente e board member del Movimento Europeo Internazionale.

FEDERICA SABBATI*

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