Quando il Giornale Alleato nascondeva ai triestini la fuga dei profughi istriani
Chiuso il Piccolo, bisognava disperdere le informazioni riguardanti la diaspora in poche righe schivando quanto più possibile l’argomento
l’analisi
Il 21 luglio 1946 il il “Giornale alleato” sintetizzò i contenuti di una circolare ministeriale sulle nomine dei maestri provvisori e supplenti. Chi intendeva concorrere fuori della zona amministrata dal Governo militare alleato veniva edotto sui termini di consegna della domanda al Provveditorato. A costituire titolo preferenziale era “la qualità di profugo dalla Venezia Giulia, dai possedimenti dell'Egeo, dalle Colonie e dall'estero”.
Il fuggevole cenno all'esodo giuliano si riduceva a una frase calata in una pagina fitta di informazioni, né più né meno di quanto in passato era stato spesso fatto e in futuro sarebbe nuovamente accaduto. Nove giorni dopo, ad esempio, sei righe schiacciate fra la pubblicità di una mostra fotografica e un aggiornamento sul servizio ferroviario notificavano che il Comitato giovanile dalmatico stava organizzando al Bagno Ausonia una veglia danzante, il cui ricavato sarebbe andato “a beneficio dei profughi dalmati residenti in questa città”. Il quotidiano gestito dagli anglo-americani seguiva una linea prudente, schivando il più possibile il tema caldo dell'esodo o approcciandolo, quando era costretto, con flemma olimpica, evitando di sollevare polveroni mentre il futuro di lembi della Venezia Giulia era ancora in forse.
Un soggetto premuroso verso chi dall'Istria e dalla Dalmazia riparava a Trieste era la Lega Nazionale. Il foglio alleato non si sottraeva al compito di riportare le informazioni che la riguardavano, ma lo faceva in modo telegrafico, con una prosa tanto controllata da dare l'impressione che a monte vigesse un'oculata censura preventiva. Basti scorrere il comunicato del 1° agosto con cui la Lega chiamava a raccolta gli iscritti ai gruppi di Cherso-Lussino, Albona e Veglia-Arbe. “I profughi nativi” erano invitati in sede per formalizzare la loro adesione. La distribuzione di dati scarni, inseriti in un contesto discorsivo ridotto al nocciolo, privo di commenti, era una delle regole auree seguite dal giornale nell'affrontare l'argomento scivoloso degli esuli.
Il pezzo del 4 agosto intitolato “Consiglio di Zona” riutilizzò l'escamotage di disperdere qualsiasi riferimento ai “problemi dei profughi istriani” in una densa matassa di notizie. E se i laconici appelli della Lega Nazionale per reclutare aderenti tra i profughi trovarono posto nelle parti basse delle seconde pagine dei numeri del 7 e del 27 agosto, il 31 del mese fu la vicenda di “Un falso esule istriano”, che sotto mentite spoglie aveva estorto 300 lire al Comitato dei profughi giuliani, ad attirare l'attenzione del foglio.
Nell'articolo del 5 settembre “I censimenti nella Venezia Giulia” fu adottato l'accorgimento di trascrivere letteralmente, al fine di sgravarsi da responsabilità attribuili solo agli oratori, l'intervista che Livio Zeno, inviato speciale alla Conferenza della pace, aveva fatto per conto della Bbc a Carlo Schiffrer, membro della delegazione italiana. L'intervista era centrata sui rapporti quantitativi fra italiani, sloveni e croati in regione: questione che rappresentava il pomo della discordia fra il vice ministro jugoslavo Bebler e Ivanoe Bonomi. Schiffrer affermò che il censimento proposto dalla delegazione italiana, datato 1921, conteneva sì inesattezze, ma del tutto casuali e in procinto di essere rettificate osservando il “principio di accettare le cifre più favorevoli agli slavi e correggere solamente le altre”.
Meglio che altrove, le condizioni critiche degli esuli si deducevano dalla cronaca nera. Il 6 settembre fu riferito dell'arresto di quattro minorenni intenti a svaligiare un negozio: si trattava, a detta della polizia, di “profughi fiumani, privi di assistenza e ridotti praticamente alla fame”. La non casuale specificazione che era stata la polizia a usare simili parole, permetteva al giornale di pubblicare la notizia prendendo le distanze dal tono troppo partecipato con cui era stata trasmessa.
E se il 5 gennaio del 1947 fu riportata pari pari la nota emessa dall'ufficio stampa della presidenza del consiglio sulla riunione romana del Comitato per la Venezia Giulia, chiamato a esaminare “i problemi di assistenza ai profughi giuliani e dalmati”, dieci giorni dopo la formula venne replicata identica tramite la trascrizione esatta di un comunicato del medesimo organo sull'accoglimento dei profughi nei maggiori centri d'Italia. Il 28 fu reiterato il copione. Oggetto della nota partita dall'ufficio stampa presidenziale era la lettera spedita dal Cln polesano al capo dello Stato, in cui si esprimeva il timore che la crisi ministeriale in corso potesse bloccare le provvidenze agli istriani.
“L'esodo da Pola. Cinquemila profughi attesi ad Ancona”, pezzo del 30 gennaio ed ennesimo modello di scrittura compassata, si limitava a sciorinare una serie di dati circa i siti d'accoglienza e il trasporto di masserizie. Il giorno successivo fu dato conto della visita in Venezia Giulia del sottosegretario Carignani. A Pola, disse l'onorevole, “la disciplina dell'esodo” era “perfettamente regolata”, così come era perfettamente regolato, verrebbe da aggiungere, il modo in cui l'anonimo giornalista raccontava le impressioni di Carignani, solerte nel far rientrare “ogni allarmismo” nei binari della buona gestione dei trasferimenti di persone condotta dal governo italiano.
La Chiesa era in prima linea nel portare soccorso. Stando a un articolo del 1 febbraio, che daccapo citava per filo e per segno gli interessati, Monsignor Bandelli, presidente della Pontificia commissione di assistenza e membro del Comitato interministeriale d'assistenza ai giuliani, reduce da un viaggio a Pola aveva rassicurato sulla “forma organizzata e ordinata” in cui si stava svolgendo l'esodo. Conforto umano, serenità degli spiriti, fiducia nella politica era ciò che il quotidiano voleva infondere nel pubblico triestino.
Quattro articoli usciti il 2, 12, 13 e 22 febbraio offrirono il resoconto dei viaggi compiuti dal piroscafo “Toscana” avanti e indietro fra Pola, Venezia e Ancona con a bordo dei profughi dall'Istria, accompagnati da corrispondenti, impiegati governativi, crocerossine. Le operazioni d'imbarco, l'entità degli scaglioni, i problemi causati dal maltempo, i successivi smistamenti erano le succinte indicazioni fornite. Di lì a breve il giornale avrebbe cambiato dicitura, da “Giornale alleato” a “Giornale di Trieste”, e con essa l'atteggiamento verso l'esodo, narrato non più freddamente, ma con empatia patriottica.
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