Nel marzo 1947 il nuovo Giornale di Trieste raccoglieva “Le ultime voci di Pola italiana”
l’analisi
Giovedì 6 marzo 1947 uscì il primo numero del “Giornale di Trieste”, che prese il posto del “Giornale alleato”. Insieme al nome, il foglio mutò l'organigramma e il modo d'affrontare l'argomento dell'esodo. Il cambio di rotta era deducibile dall'elzeviro “Il nostro compito”, che definì la nuova testata “anzitutto un giornale italiano”: non più dunque gestito in monopolio dalle forze alleate, con il loro stile imparziale nel narrare le vicende degli istriani che lasciavano le terre adriatiche, ma espressione di chi aveva a cuore le “esigenze di una popolazione che è in massima parte italiana per lingua, cultura e sentimento”.
La sterzata di registro era avvertibile dal titolo in prima pagina, “Assistenza agli esuli che giungono in Patria”, e dal relativo – e fino ad allora insolitamente lungo – articolo che forniva sì, come in passato, notizie sull'accoglimento degli sfollati, ma usando locuzioni inusitate: “nostra gente industriosa” o “sfortunati fratelli”. I quali, fu riportato il giorno, giunti da Pola e da Fiume venivano accolti nel silos di Trieste, in attesa d'essere smistati in varie città italiane. Insomma, la “Solidarietà con gli esuli di Pola”, trafiletto pubblicato il giorno 8, coincideva con la solidarietà della redazione.
L'11 marzo la cerimonia di traslazione delle salme degli “Eroi di Pola” (ossia di Nazario Sauro e di altri benemeriti) a Venezia, nel Tempio votivo del Lido, permise all'autore del pezzo di profondersi in un resoconto ad alta temperatura patriottica. Numerosi articoli tennero informata l'opinione pubblica triestina sul sistema d'accoglimento dei giuliani ripartiti nelle regioni della penisola, dal Lazio alla Puglia. Si trattava di notizie di sapore tecnico-logistico, messe però in estremo risalto. Il 22 un breve testo in grassetto e dal titolo in caratteri cubitali, “Da Pola sono partiti gli ultimi esuli”, raccontava di 380 profughi trasportati dal piroscafo Toscana a Venezia coi gonfaloni di diverse cittadine istriane.
Era soprattutto dalla cronaca nera che si poteva evincere la positiva predisposizione del quotidiano nei confronti degli esuli. Mentre il “Giornale alleato” si era ben guardato dall'avanzare giudizi su ladri e derubati, spingendosi al massimo a citare le parole della polizia, senza sussumerle in una linea editoriale che rimaneva impermeabile agli sbilanciamenti emotivi, l'articolo del 23 marzo “Sciacalli fra le masserizie degli esuli da Pola” riferì di una rapina a danno di “povera gente costretta ad abbandonare la propria terra”, perpetrata da dei barcaioli colti con la refurtiva stipata nei bragozzi.
Il lavoro delle istituzioni era attentamente seguito. “Una delegazione del CLN della Zona B dell'Istria” fu ricevuta il 4 aprile da De Gaspari, il quale promise “che i bisogni impellenti” degli esuli sarebbero stati “oggetto di particolare esame da parte del Governo al fine di una loro soddisfacente soluzione”. Il 4 maggio fu concesso larghissimo spazio alla conferenza stampa del colonnello Bowman, ufficiale superiore per gli affari civili del Governo militare alleato e uomo così potente da meritarsi il soprannome, a metà fra il beffardo e il celebrativo, affibbiatogli da William D. Morgan: «King Bowman I of Trieste».
Gli argomenti da lui toccati spaziarono dall'istruzione all'economia all'esodo. Il fatto che a fare domande fossero giornalisti di testate concorrenti e politicamente distanti, permette di gettare uno sguardo sui maggiori punti di frizione fra coloro che vestivano i panni di portavoce ufficiosi delle segreterie dei partiti, di scandagliare gli orientamenti di reporter che si riconoscevano in correnti di destra o di sinistra. Al quesito posto dal “Lavoratore”, ossia se “In seguito agli incidenti” appena avvenuti e “causati dagli esuli”, che “fischiavano, sputavano e gettavano bombe”, non fosse il caso di accertarne le fonti di sostentamento, Bowman replicò che si sarebbe proceduto con solerzia a cercare i colpevoli, da non identificare con la totalità delle persone giunte da fuori e presenti legalmente in città.
L'atmosfera di surriscaldò in coda al dibattito, quando il rappresentante di “Trieste sera” definì “asciugamani tricolori” le bandiere italiane esposte durante le manifestazioni patriottiche che di tanto in tanto venivano organizzate. Scoppiò allora un parapiglia interrotto da Bowman con una frase tranciante: “Questa è la mia conferenza stampa”.
Un sentimento di forte affezione per gli esodati e per chi si era fino all'ultimo ostinato a difenderli “in loco” pervadeva l'articolo del 16 maggio, “Le ultime voci di Pola italiana”, che mise al corrente i triestini sulla cessazione delle trasmissioni di Radio Pola e sulla chiusura del quotidiano l'“Arena”. L'annunciatore ne avrebbe dato notizia al microfono con frasi in cui “palpitavano vibrazioni di intensa commozione”. Furono poi fatte ascoltare famose canzoni italiane, quelle “che in tante occasioni la popolazione di Pola ha ripetuto con entusiasmo in questi due anni di incertezza e di delusioni”.
Per rimarcare la propria solidarietà verso gli impiegati dell'emittente radiofonica e del foglio polese, l'estensore aggiunse una postilla finale in cui non lesinò intonazioni enfatiche ed esibizioni di “pietas” umana: “Salutiamo con animo commosso i colleghi dell'Arena di Pola che lasciano per ultimi la città sacrificata; ed egualmente ci è caro salutare il personale della stazione radio. Non si poteva concludere meglio l'attività di Radio Pola che diffondendo nei cieli l'alta e solenne canzone O bell'Istria, che morti e vivi avranno ascoltato di qua e di là dell'Adriatico”. Il 21 si accennò al “Progetto di un quartiere alla periferia di Milano” promosso dal Comitato per la Venezia Giulia e Zara, con cui si prevedeva di alloggiare 7 mila persone in una dozzina di case e 384 villini. E che di tale strutture ci fosse estremo bisogno venne ribadito il 19 giugno. L'articolo “Passaggio di profughi fiumani” dipinse il quadro dell'“esodo silenzioso di Fiume”: ogni giorno almeno quaranta individui giungevano a Trieste dal Quarnero, certi di “trovare presso i fratelli quella pace e quella serenità così contrastate in Fiume jugoslava”. Il battere continuo sul tasto della “fratellanza” testimoniava la durata nel tempo di un lessico di marca risorgimentale, in cui la metafora della famiglia era usata per definire il concetto, per l'appunto, di madre-patria, i cui membri, stretti dal vincolo del sangue, erano tenuti ad aiutarsi l'un l'altro. —
(4 - Segue. Le altre puntate sono state pubblicate il 3 settembre, 5 e 24 ottobre)
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