Mostra del Cinema di Venezia, tutte le scuse più improbabili per entrare all’Excelsior

Una giornata davanti all’hotel dei vip, tra chi inventa di avere riservato una camera e chi sostiene di avere smarrito l’accredito
Laura Berlinghieri

È un ragazzone con il marcato accento napoletano. Spalle larghe, un fisico che gli consente di calzare perfettamente la parte. «L’anno scorso mi avevano piazzato alla darsena. Quest’anno all’ingresso dell’Excelsior, il pomeriggio». E fa un sospiro.

È una porta sul mondo di lustrini e paillettes. La controlla lui. Oltre l’oblò dalle porte girevoli ci sono ragazze che nei bagni spazzolano infiniti capelli, occupano specchi ripassando di rosso rossissime labbra e poi muovono stuoli di fotografi, improvvisando le pose più ardite, davanti a fotografatissimi sfondi.

Da una parte, suite da mille e una notte. Anzi, da duemila a notte. Dall’altra, ragazzi assiepati oltre la transenna che delimita la piccola gradinata d’accesso. Soprattutto, che soggiornano al di là della strada, sugli ampi gradoni della terrazza, per guardare i vip che arrivano alla darsena.

C’è di tutto, in questo concentrato di umanità che sogna il cinema. Anzi, forse il cinema è questo: due mondi che hanno l’illusione di permearsi, mentre si sfiorano appena, correndo lontani.

Una volta lo si poteva toccare, questo magico mondo che scorre sullo schermo: l’hotel Excelsior era l’El Dorado dei professionisti dell’autografo, che potevano entrare e uscire a loro piacimento da quelle porte girevoli che si aprivano sul sogno. Ma quest’anno le regole sono cambiate e anche l’ingresso al Paradiso ha una lista degli invitati.

Il ragazzone che controlla gli accessi lo sa bene ed è per questo che rimpiange il suo vecchio incarico, alla darsena. Quando, al massimo, doveva contenere qualche giornalista più agitato della media. E invece è lì, guardiano delle porte dell’hotel, dove il caleidoscopio di questo piccolo mondo si mostra in tutti i suoi colori.

C’è il sessantenne, o giù di lì, con lo sguardo fisso davanti a sé, che non parla una parola di italiano, né di inglese, né comprende alcun tipo di richiamo, mosso da un solo obiettivo: entrare, entrare, entrare, anche a costo di essere placcato, come un rugbista.

C’è la regista che ha smarrito accredito e documenti, che non conosce nessuno che possa garantire per lei, che si mette a urlare, che inveisce contro la gestione della mostra, dell’hotel, dei vaporetti, dei ristoranti.

C’è poi lo stilista di un’importante casa di moda, che però non ha il pass. Si innervosisce, ripete: «È una vergogna, è una vergogna». E alla fine entra, mentre il portiere avvisa i colleghi, dicendo loro di «tenerlo d’occhio».

C’è una coppia che chiede di entrare, perché lì ha una camera. Ma proprio non ricorda il numero di questa camera. C’è chi chiede di entrare per consumare al bar, ma poi esce dopo pochi minuti: quando si dice un espresso.

Ci sono due fotografi, che garantisono di essere lavoratori della Mostra del Cinema. Eppure non hanno l’accredito. Chiedono al ragazzone come si chiama, ma il suo nome non basta. Chiedono di parlare con il suo responsabile. Che arriva e ribadisce il suo «No». Chiedono di parlare con il responsabile del responsabile. Che arriva ed è ancora no. È una mezz’ora di responsabili. E alla fine i due, responsabilmente, se ne vanno: «E comunque l’Excelsior ha fatto il suo tempo. Molto meglio il Des Bains» la sentenza.

E intanto, poco più in là, un uomo staziona davanti a una sala, fotografando gli schermi dei cellulari delle persone in fila, per rubare almeno un biglietto.

Poi ci sono le feste. A Milano, esisteva la “banda del panino”: professionisti dei buffet, noti agli addetti stampa, che pure non ricordavano dove scrivessero questi giornalisti esperti di cinema, musica, che sistematicamente riuscivano a intrufolarsi a ogni conferenza stampa. In realtà, erano esperti di prosecco e di pizzette.

Ecco, è così anche al Lido, tra improbabili scatti oltre le transenne che delimitano gli spazi dei party privati, approfittando della momentanea disattenzione della security. E imbarazzanti cacciate, a cui manca solo il condimento dell’impugnatura dell’orecchio, per il completamento dell’esposizione al pubblico ludibrio.

Il ragazzone napoletano sorride a tutti, chissà dove la trova tutta questa gentilezza. Il primo giorno si era lasciato sfuggire: «Ho visto il presidente De Laurentiis, ma non ho potuto chiedergli la foto». Peccato, sì. Ma basta che si guardi intorno: ecco il cinema.

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