Link Trieste, ecco come è cambiato lo sport e il modo di raccontarlo
TRIESTE Sugli schermi della Link arena di piazza Unità compare all’improvviso il volto sorridente di Matteo Parenzan, reduce da una storica medaglia d’oro nel tennistavolo alle Paralimpiadi di Parigi. «Sono felicissimo», risponde il giovane triestino, 21 anni da poco compiuti. Il pubblico si scioglie in un lungo applauso, ma l’emozione dura soltanto pochi istanti: Matteo ringrazia e si affretta a spiegare che deve subito assentarsi, «perché mi attende la presidente del Consiglio e la sto facendo aspettare».
Il collegamento si interrompe e, stavolta, c’è spazio per una fragorosa risata collettiva. Il filone sportivo di Link Media Festival – il festival del giornalismo di Trieste organizzato da Nord Est Multimedia, il gruppo che edita questo giornale – può avere inizio.
Lo sport, infatti, è stato il grande protagonista della seconda giornata della kermesse, che volgerà al termine oggi con un programma ricco di appuntamenti. L’inaspettato saluto telematico di Matteo Parenzan – messo a punto nelle ultimissime ore direttamente dal Piccolo – ha dato il via a una coppia di incontri incentrati sul rapporto tra lo sport e il suo racconto giornalistico.
Il primo, nella tarda mattinata, ha visto dialogare due fra le giornaliste televisive più note d’Italia: Roberta Noè, volto di Sky Sport, assieme a Simona Rolandi, conduttrice di Rai Sport e del celebre programma de La domenica sportiva, accompagnate dal vicedirettore di Nord Est Multimedia con delega allo Sport Giancarlo Padovan.
Nel pomeriggio, è stato il turno dell’attesissimo Adriano Panatta, da alcuni anni non più soltanto leggenda del tennis italiano, ma anche uno dei più apprezzati commentatori sportivi fra televisione, radio e podcast. A solleticare il suo carisma e la sua implacabile ironia c’era Fabrizio Brancoli, vicedirettore del gruppo Nem con delega a Il Piccolo. Dalle due conversazioni è emerso un ritratto vivido (e non privo di gustosi aneddoti) di ciò che significa oggi raccontare lo sport.
Un nuovo racconto
Lo sport è cambiato. E, di conseguenza, sono cambiate anche le sue narrazioni. Una parola che torna spesso nei due incontri è “epica”, o “mito”. Parola che non piace a Panatta: «Cosa vuol dire essere un mito? Bisogna essere sempre se stessi. Io prendo la vita molto seriamente, ma allo stesso tempo anche con leggerezza. Se i miti si sentono miti diventano dei cretini». L’epica sportiva, come forma di narrazione giornalistica, è scomparsa o comunque non è più sufficiente: «La Rai deve adeguarsi al cambiamento dei tempi – dice Simona Rolandi –. Una volta c’era solo La domenica sportiva, facevamo dieci milioni di spettatori. Ora cosa possiamo raccontare la sera, quando tutto è già stato visto? Bisogna creare un nuovo racconto». Senza scordare i social network, con una disponibilità di immagini e di video pressoché illimitata, assurti a una sorta di corollario delle competizioni: «I social sono ormai indispensabili – osserva ancora Rolandi – ma rischiano di essere una trappola».
Un nuovo sistema
Non sono cambiati soltanto i mezzi a disposizione. Come afferma a un certo punto del suo discorso Panatta, è l’intero «sistema» dello sport ad essere uscito rivoluzionato negli ultimi decenni: «Fra i giocatori c’era un rapporto personale diverso, negli spogliatoi si scherzava, con molti si usciva a cena. Ora gli entourage sono come dei clan, ristretti, soffocanti». Ma, al pari delle relazioni fra i giocatori, non esiste più un rapporto diretto nemmeno tra giocatori e giornalisti: «Posso anche accordarmi preventivamente con un giocatore per un’intervista – prosegue Simona Rolandi –. Se poi però il suo ufficio stampa dice di no, tutto ciò che ho seminato va in fumo. La conseguenza è che i rapporti ne escono inariditi». Lo sport, conclude Rolandi, «non è più a misura d’uomo».
Le opportunità
Dal quadro tratteggiato finora, il rischio è di scivolare nella nostalgia o nel pessimismo. Mentre le voci dei tre ospiti di Link Media Festival indicano esattamente il contrario. Indicano lo schiudersi di nuove opportunità, in parte già colte in parte da scoprire. Prendiamo l’esempio dei social network, che Roberta Noè si rifiuta di demonizzare: «Per paradosso, la formazione di una volta è adesso un vantaggio, perché ti spinge ad avere cura e a controllare le notizie. I social, poi, possono servire ad attirare le nuove generazioni». Sulla «formazione» come chiave di volta insiste anche Simona Rolandi: «La preparazione è l’unica possibilità che abbiamo per avere credibilità e rispetto». E dei nuovi canali d’informazione è padrone lo stesso Panatta, con il suo apprezzatissimo podcast registrato assieme al compagno di una vita, Paolo Bertolucci.
Il carattere
E poi c’è il carattere. Quella cosa che fa sempre la differenza, per uno sportivo come per un giornalista, oggi come cinquant’anni fa. Basti guardare a Panatta, che con il suo eloquio sprezzante intrattiene un pubblico numerosissimo per tre quarti d’ora inanellando una serie di giudizi ficcanti sui migliori tennisti in circolazione, dopo il recente paragone tra Sinner e Tyson – «Jannik spinge sempre, è un giocatore di grande impatto». Alcaraz? «Ha avuto un contraccolpo psicologico che durerà ancora». Djokovic? «Dopo le Olimpiadi fa fatica». Rublëv? «È uno dei giocatori che si battono da soli». Dimitrov? «Sembra una Pepsi». Dall’altro lato, il carattere di Noè e Rolandi ha permesso loro di arrivare dove sono, bucando il soffitto di cristallo che vedeva il giornalismo sportivo tradizionalmente appannaggio di soli uomini. Il vero, grande cambiamento avvenuto nello sport e in chi lo racconta. —
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