I messaggi in bottiglia da lasciare assieme
Caro ragazzo che magari leggi una rubrica di sfuggita su un giornale, ti presento Jaques e la sua storia. Gli ho fatto tre domande: chi sei? Cosa hai vissuto? Come sei cresciuto interiormente dopo il virus? Lui ha messo il messaggio in una bottiglia e l’ha lasciata andare nel mondo. L’ho raccolta e ti lascio le sue parole, da domani quei messaggi in bottiglia li lasceremo assieme, così che anche se tu ti trovi dall’altra parte del mondo le nostre parole possano giungerti con dei fili sottili.
«In un letto d’ospedale i malati soffrono da soli, isolati dai volti a loro familiari. Vivono l’esperienza del terrore e della paura da soli, immersi nei propri fantasmi oppure nelle proprie speranze. L’uomo è un animale sociale – lo diceva già Aristotele –, è un essere gregario per eccellenza. Si ammala come parte del gruppo, guarisce nell’appartenenza a un gruppo. Quando studiamo le comunità più primitive osserviamo che i traumi, i lutti e l’infermità vengono vissuti all’interno della comunità di appartenenza.
Nella sofferenza i rituali ci supportano e confermano la nostra identità. In questo tempo d’eccezione in cui si muore abbandonati, al dolore si aggiunge la solitudine. Quanto mi mancava il contatto mano nella mano durante la terapia intensiva, come ci mancano gli abbracci e le strette di mano». —
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