Marij Kogoj, il compositore sloveno senza identità rivoluzionò la musica espressionista

Abbandonato dalla madre. Incerte la sua origine e data di nascita. Ma fu un genio
Alessio Screm

Forse sta nella sua opera somma la chiave del rebus Marij Kogoj. La soluzione, o almeno la comprensione di non poter sciogliere l’enigma della sua esistenza di uomo e di artista.

Fu tanto sicuro del suo talento quanto del tutto incerto delle proprie origini. Rimbomba nel capolavoro “Črne maske” (Maschere nere) la domanda di una voce sconosciuta: «Tua madre ti ha detto di chi sei figlio?». E nell’ego ed alter ego del protagonista, Lorenzo Duca di Spadaro, sta il suo doppio, nell’ambiguità del nome. Scrive il drammaturgo Josip Vidmar, che lo aiutò nella composizione del libretto di quest’opera tanto articolata che è il suo testamento, ispirata dal dramma omonimo del russo Leonid Andreev: «Ricordo con quale strana risata una volta mi raccontò la storia della sua infanzia. Loro padre morì all'inizio del 1898. Dopo la sua morte, la madre avrebbe rinchiuso i tre bambini nell'appartamento e sarebbe scomparsa. I bambini furono salvati e mandati orfani nella casa natale del padre, a Kanal, dove si presero cura di loro. Kogoj mi ha detto che secondo la sua memoria lui non è affatto Marij, ma Julij. Marij era suo fratello minore morto bambino. Dopo la sua morte, Julij fu chiamato con il nome del fratello defunto Marij. E questo nome gli è rimasto».

Si crede che il compositore, considerato il fondatore dell’espressionismo musicale sloveno, sia nato il 20 settembre del 1892 a Trieste, e quest’anno dovrebbero ricorrere i 130 anni dalla sua nascita. Ma un errore nella trasmissione del suo nome all’atto dell’iscrizione al liceo di Gorizia, voluto o involuto non è dato sapere, pone un ulteriore ostacolo alla comprensione della sua vita complessa.

Un’esistenza ambigua segnata da traumi già in tenera età, quando a sei anni divenne orfano di padre, Štefan di professione carraio, e subito dopo abbandonato dalla madre, Angela Filippini che si sposò a soli quindici anni, madre di cinque figli di cui due morti prematuramente. Tra questi Marij, preso a otto mesi dalla meningite, fratello con il quale il futuro compositore venne “confuso” e di cui mantenne il nome. Non solo. La madre Filippini, scappata allora venticinquenne si crede per intraprendere una vita errabonda da cantante, non è detto che sia la vera genitrice, perché altre perplessità si annidano nel credere che a concepirlo fosse stata una certa Julija Sevnik.

Senza contare che Marij e la sorella crebbero sotto le cure della vedova Ana Perkon, separati dal fratello maggiore Angelo affidato alla famiglia Brezigar. A Kanal Marij Kogoj dà libero corso alla sua vocazione musicale. Frequenta la piazza e la chiesa. Studia con Mihael Zega, sindaco del luogo ed insegnante in pensione, e Alojzij Verč, organista del paese. Apprende da loro dei rudimenti che poi approfondisce da autodidatta. Dirà: «Di tutte le cose, fin dalla mia giovinezza sono stato più tentato dalla musica. Forse è per questo che le sto prestando così tanta attenzione, perché in natura non era possibile trovarne una uguale, né più bella né perfetta...Mi sembra che solo lei sappia con certezza dov'è la sua fonte e dove dovrebbe appoggiarsi e immergersi ancora e ancora. Le altre arti stanno soltanto imparando a conoscersi. La musica non è l'esterno né la superficie, ma il fondo».

Durante il liceo a Gorizia prende lezioni di musica sacra a Lubiana dove conosce Fran Gerbič, Stanko Premrl e Fran Kimovec. Pubblica i suoi primi lavori musicali, soprattutto corali e da camera, e saggi, spesso firmandosi “Veslav”, su alcune nascenti riviste come “Nuovi accordi”, “Zora”, “La nuova corrente”. Nel 1914, invece di concludere gli studi a Gorizia si sposta a Vienna, nonostante le ristrettezze economiche, per seguire all’Accademia di musica ed arti dello spettacolo i corsi di Franz Schreker, compositore che si muove tra il simbolismo e l’espressionismo. Ma non completa nemmeno quelli e va a studiare orchestrazione con Arnold Schönberg alla Reformschule del dottor Schwarzwald. Segue alcune lezioni e intanto studia da solo l’“Abbozzo per una nuova estetica della musica” di Ferruccio Busoni ed il “Trattato di armonia” del futuro padre della dodecafonia, portando il suo stile a maturità.

Rientra a Lubiana a guerra finita, lavora come accompagnatore al Teatro dell’Opera, è tra gli animatori di un gruppo d’avanguardia, tenta di fondare una scuola e tra i suoi studenti ci sono Srečko Koporc e Matija Bravničar. Nel 1919 si sposa con la cantante Marija Podlogar con cui avrà tre figli che lo ricordano padre amorevole, accanito fumatore, preso dalla musica. È emblematico un dipinto del 1923 di Veno Pilon che lo ritrae, poco prima dell’inizio della stesura di “Črne maske” che lo impegnerà dal 1924 al 1927, coi capelli crespi, naso camuso, carnagione scura. Questo ritratto ha sollevato alcune teorie secondo cui le origini di Kogoj sarebbero da cercarsi altrove, nell’ipotesi che la madre lavorasse come balia in Egitto e fosse di origini alessandrine.

Un mistero senza soluzione che nemmeno le sue “Maschere nere” possono risolvere, nei nodi di un’opera modernista, dissonante e indemoniata che mette a dura prova chiunque voglia rappresentarla. Fino ad ora ha conosciuto solo quattro messe in scena e l’ultima nel 2012 in occasione della titolazione di Maribor a Capitale europea della cultura. La prima si tenne tra molte difficoltà nel 1929 e fu accolta freddamente, considerata l’opera di un pazzo. Da qui l’inizio del declino psichico di Marij Kogoj che nel dicembre del 1932 fu ricoverato per schizofrenia. Nel suo ultimo periodo, abbandonata ogni forma di vita sociale, prese a firmare le sue composizioni “Julij Marij Kogoj”, forse ritrovando finalmente se stesso nelle profondità delle ambivalenze. Morì a Lubiana il 25 febbraio del 1956. A lui è titolata la Glasbena matica Scuola di Trieste, a Kanal c’è un busto che lo ritrae, opera di Boris Kalin, inoltre lo ricorda una mostra permanente ed a lui è dedicato il festival “Kogojevi dnevi”. «Sei malato di mente?», gli chiese il medico. «Non mentalmente...ma sono al di là del normale».

Riproduzione riservata © Il Piccolo