Ma “Quante storie” fa il giovane Kalpa: «Perché ormai abbiamo smesso di credere»
TRIESTE «L’espressione “Quante storie” vuol dire tante cose per me. La mia generazione ha una visione del mondo apocalittica, come se non ci fosse rimasto ormai granché da fare. È una generazione che si chiede cosa voglia lasciare a un mondo che un po’ la ripudia. Un’ode a chi ha smesso di credere e gli va bene così, un grido d’aiuto, un manuale di istruzioni».
Kalpa, classe 2001, canta le storie della sua generazione, per la prima volta usando l’italiano, nel nuovo singolo “Quante storie” che anticipa l’album di debutto in uscita tra fine anno e gennaio, con l’importante distribuzione della Virgin, prodotto assieme a Alessandro “Sesto” Giorgiutti, con il master di Ricky Carioti (fonico di Elisa), la partecipazione al basso di Giorgio “Caspio” Di Gregorio e alla batteria Gianmarco “Tanarouge” Rosso. Sembra aver messo a fuoco il suo talento il ventunenne Angelo Mallardo, che col nome d’arte Kalpa in questi ultimi anni ha già realizzato alcuni singoli, un ep, e ha anche partecipato al talent televisivo X Factor.
È complicato essere un giovane musicista a Trieste?
La città mi piace, sono nato e cresciuto qui. Le influenze esterne – papà napoletano che mi ha trasmesso l’amore per Pino Daniele e il calcio – c’erano, ma mi sento prima di tutto triestino. Adesso forse la vedo in maniera meno romantica, perché per chi fa musica è difficile trovare posti dove suonare, ma per il resto ci vivo bene.
Ha patito la mancanza di spazi per la musica dal vivo?
Ero adolescente quando il Tetris andava già verso la chiusura, i musicisti più grandi con cui collaboro me ne parlano sempre con nostalgia. Ho avuto la sfortuna di non viverlo direttamente.
E a proposito di sfortuna…
Comincio questa fase musicale solista a febbraio 2020. Suonare è stato impossibile, praticamente fino a quest’anno, appena adesso comincia a muoversi qualcosa per me.
Su Instagram già nel 2018 aveva pubblicato una cover dei Radiohead. Poi?
Conobbi dei ragazzi con cui iniziammo una band del liceo, per divertirci facendo cover. È stata un’esperienza importante, mi sono innamorato della dinamica del gruppo, del suonare dal vivo e ho capito quanto sia una cosa che voglio fare nella vita. Suonando con altre persone ho imparato molto. Parallelamente alla chitarra ho cominciato ad approcciarmi a programmi audio e mi sono appassionato alla produzione musicale.
La vostra generazione ha almeno il vantaggio delle tecnologie.
È vero, oggi si possono fare delle cose pazzesche.
La prima folgorazione da ascoltatore?
Da piccolo ascoltavo quello che passavano i miei, da Michael Jackson ai Queen. Alle medie la prima volta che sentii i Daft Punk rimasi scioccato. Ho preso le redini in mano, mi sono documentato, ho iniziato a scoprire e ricercare la musica elettronica, a cui abbinavo i giochi elettronici, un connubio che va molto d’accordo. Poi mi sono man mano avvicinato alla musica più suonata, alternative, Coldplay, Arctic Monkeys, Radiohead, oggi apprezzo i Fontaines D.C.
Perché Kalpa?
Era il nome del gruppo in cui cantavo, è durato molto poco, abbiamo fatto forse due concerti. In quel periodo però ho cominciato a scrivere tantissime canzoni. Il nome mi piaceva, ho chiesto se potevo tenermelo e così è stato. Avevamo un libro di parole intraducibili in altre lingue, tra queste c’era “kalpa” che in sanscrito vuol dire “periodo di tempo lunghissimo” in realtà è un concetto buddista molto più complesso, un ciclo cosmico, una teoria secondo cui il tempo non sarebbe lineare ma ciclico, ma mi piaceva in maniera molto ingenua.
Pubblica un ep, poi nel 2021 partecipa a X Factor. Com’è andata?
È stata un’esperienza positiva, interessante e divertente. Seppur arrivato ai Bootcamp, la fase delle sedie, in squadra con Hell Raton, in tv mi si è visto talmente poco che non ha fatto la differenza. Ho capito come funziona una realtà televisiva dall’interno: da spettatore sembra tutto diverso. Ho conosciuto artisti molto bravi, Erio, le Endrigo, Gianmaria…
Cosa ci sarà di nuovo nell’album?
La grande differenza è il passaggio dall’inglese all’italiano. Il focus sono gli anni ’90, quell’attitudine, sempre cercando però di attualizzare le cose del passato che mi piacciono. Undici brani vari, ci sono anche elementi elettronici, campionamenti, auto-tune. Mi sono messo più al servizio della canzone che della pura sperimentazione.
“Quante storie” cosa racchiude?
Raccoglie un’immagine generazionale, una generazione che si guarda indietro, vede cosa è stato fatto e si chiede cosa può fare di meglio. Abbiamo un sacco di problemi da risolvere senza però avere gli strumenti. “Quante storie” perché sono tante quelle che conosco, di ragazzi e ragazze che magari perdono anche un po’ la motivazione nel fare qualsiasi cosa. È un tema molto caldo e attuale quello dei giovani, ce ne sono tanti che non studiano, non lavorano.
Ha un libro del cuore?
Da adolescente mi ha colpito “Fight Club” di Chuck Palahniuk. Ti apre a tanti ragionamenti e pensieri interessanti.
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