La festa da ballo dei coniugi Burton a Opicina finì sotto il diluvio e con l’assalto dei villici al buffet

Sir Richard e sua moglie Isabel diedero un ricevimento alla locanda Daneu per la squadra navale britannica nel 1881
Marta Herzbruch
L’Hotel Obelisco di Opicina in una stampa d’epoca. Richard Burton vi soggiornava spesso con la moglie Isabel. Nell’estate del 1881 allestì una grande festa campestre per ottocento invitati
L’Hotel Obelisco di Opicina in una stampa d’epoca. Richard Burton vi soggiornava spesso con la moglie Isabel. Nell’estate del 1881 allestì una grande festa campestre per ottocento invitati

TRIESTE Richard Francis Burton approdò a Trieste il 6 dicembre del 1872, in qualità di console generale di Sua Maestà Britannica, insieme alla moglie Isabel Arundell. Quando arrivò nella principale città portuale dell’Impero austro-ungarico era già un personaggio noto. Era molte cose: soldato, arabista, etnografo, poliglotta, esploratore, campione di scherma, antropologo, sessuologo, archeologo, avventuriero, viaggiatore, poeta, traduttore, cercatore d’oro e console di Sua Maestà Britannica.

Aveva pubblicato molti libri ed era in grado di parlare venticinque lingue diverse. Quasi tutti i dettagli relativi alla vita dei Burton a Trieste sono riportati nella biografia in due volumi che Isabel Arundell dedicò al marito nel 1893 e che porta il titolo “The Life of Captain Sir R. F. Burton”.

Il secondo volume, che conta 665 pagine, inizia appunto con il loro arrivo a Trieste a bordo della “Morocco” e fornisce la descrizione, praticamente giorno per giorno, dei diciotto anni che Richard e Isabel trascorsero nella città giuliana. Oltre alla residenza in città, Richard Burton aveva un pied-à-terre a Opicina, presso la Locanda Daneu (Hotel all’Obelisco). “Non posso ricordare di aver mai trascorso con Richard giorni più felici e pacifici di quelli passati tra il 1879 e il 1882 a Opicina”, scrive Isabel in “The Life of Captain Sir R. Burton”. La passione per la Locanda Daneu era tale che spinse la coppia a organizzare a Opicina nell’estate del 1881 una grande festa campestre per ottocento invitati in occasione dell’arrivo di una squadra navale britannica composta da 11 navi.

Così scrive Isabel nelle sue memorie: “Il 1° luglio 1881 arrivò la H.M.S. Iris, l'avanguardia dello Squadrone. Lo Squadrone stesso arrivò il 7. Richard e io ci recammo a bordo un'ora dopo, su ogni nave - in tutto erano 11 - per invitare i capitani e gli ufficiali alla fète-champêtre notturna e al ballo a Opicina, poiché volevamo, il prima possibile all'inizio della loro visita, metterli in rapporti cordiali con i nostri amici in città. (…) Abbiamo creato nel parco che circonda la locanda di Opicina una sorta di Vauxhall. In un grande campo sul retro della locanda avevamo otto tavoli lunghi 15 metri; una capanna per il tè, il caffè e i rinfreschi, una di barili di vino e birra, da spillare e servire ai tavoli, una grande sala da ballo in legno, tre tende per i servizi igienici o per riposare, e sedili e panche tutt'intorno, rialzati come un anfiteatro, per chi voleva guardare. Il tutto era adornato da cinquecentocinquanta grandi mazzi di fiori, diverse migliaia di lampade colorate e duecento bandiere di tutte le nazioni”.

Non mancavano bande e fuochi di artificio, ma l'evento si risolse in un disastro a causa di uno di quegli improvvisi “stratempi” così tipici della capricciosa meteorologia triestina: “Tutto era in gran gala e il primo valzer era iniziato, quando il tempo, che era stato secco come un osso per tutta l'estate fino a quel momento, si è improvvisamente aperto; e non ha piovuto, ma ha diluviato a secchiate, con tuoni e lampi tremendi, per cui ci fu un regolare "si salvi chi può" nella locanda. Intanto, poiché gli agenti di polizia erano ubriachi, una folla di villici aveva fatto irruzione nel campo e si era impadronita di tutte le migliori cose da mangiare e da bere, saltando poi sulle stoviglie e rompendole”.

Insomma tra pioggia, camerieri, musicisti, vetturini ubriachi e stuporosi ballerini a oltranza, ladri che rivendevano la refurtiva sul posto, si scatenò un vero “pandemonio”. Il danno economico, per i Burton, fu “immenso”. Infine, dopo giorni di festeggiamenti, al momento di levare le ancore, mancavano all’appello diciotto membri dello squadrone inglese.

Quando furono ripescati tra le bettole triestine dichiararono di voler restare a Trieste perché – scrive Isabel nei suoi ricordi – “era un luogo talmente ideale che non avevano cuore d’abbandonarlo!”.

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