L’ addio di Gassman dal Rossetti a Trieste, fumando una sigaretta che non fu l’ultima
TRIESTE Il Mattatore, malvolentieri, pianificò uno show d’addio. Il 14 ottobre 1996 Vittorio Gassman (con una enne, poi il figlio Alessandro e il nipote Leo ne aggiungeranno un’altra al cognome) entrò al Rossetti di Trieste, una delle tante rappresentazioni per salutare gli amici della Penisola. Una sorta d’inchino per dire grazie a chiunque l’aveva amato, applaudito, incantato, apprezzato, contestato, idolatrato, seguito, ammirato.
Il titolo riassumeva il suo indomito spirito combattivo: Anima e corpo. Questa insegna, che sormontava gli ingressi di tanti teatri italiani, come Lui scrisse, la si poteva, e la si può, leggere «come l’equivalente di sacro e profano, una sorta di dialettica fra la casualità della parola poetica e la fatica del quotidiano».
Il rito dell’ingresso in sala. Non più l’atletico giocatore di basket o l’attore che saltava sulla sua gamba (indimenticabile la performance di Canzonissima 70 quando duellò con Corrado inscenando l’Armata Brancaleone) ma un uomo ormai rassegnato a uscire dalla calca teatral-cinematografica per raggiunti limiti di salute, soprattutto. La sua speranza, camminando in platea per una ricognizione d’ordinanza alla impattante sala triestina, era che l’addio durasse almeno «una decina d’anni o addirittura all’infinito, che fosse il mio ultimo soggiorno in palcoscenico da replicare per tantissimi anni. Un po’ come accadeva a molti grandi interpreti del passato. Kean salutò il pubblico per una quindicina di volte almeno prima di togliersi definitivamente di torno».
Quattro passi verso il mare per ispirare. Il fiato, che gli fu amico fedele in tutte le sue meravigliose esibizioni, se ne stava andando. Dalla tasca comparve una sigaretta: guardando l’orizzonte dal molo — l’aria frizzante d’inizio autunno invogliava a non muoversi da lì — fumare sarebbe stata una gioia immensa. Chi inala tabacco lo sa. Se l’accese e ben conscio di peggiorare la situazione disse: «E, comunque, boia chi molla».
Trieste lo affascinò, quella sera più di tante altre volte che la attraversò in carriera. Forse sentiva che mai avrebbe rivisto l’orizzonte da piazza Unità o dal molo Audace. Per il viaggiatore è un incanto. Vittorio, che la bellezza ce l’aveva dentro gli occhi, fissò quel panorama e se lo mise da parte per un momento di malinconia. Si fumò la bionda come fosse un rosario, ripetendo i gesti con un atteggiamento quasi religioso e cominciò a tossire e a non respirare. Un uomo forte che riconosceva la fine, ma la voleva affrontare guardandola in faccia.
Sulla strada del ritorno al teatro gli venne spontaneo rivelare alcuni dettagli della sua performance, ricordando alcuni capisaldi teatrali di un pellegrinaggio esistenziale, citando Edipo, l’Inferno dantesco e un inedito di Sepulveda, che lui svelò: «lo scrisse appositamente per me». Eduardo, prima di morire, si dice avesse almeno quindici progetti da realizzare.
Gassman, nel camerino del Rossetti, cominciò a entrare in sintonia con lo spettacolo. «Io non ne ho così tanti di progetti, puntualizzò l’attore, ma qualcosa c’è. Mi piacerebbe fare una performance con i miei figli Alessandro e Jacopo». Ci invitò seriamente a non credere troppo ai giornali: «Scrivono un sacco di fandonie».
Ognuno ha il suo rituale prima dei fatidici “cinque minuti in scena”. Il Rossetti è un teatro che mette soggezione e «il pubblico è colto. Trieste è una città di cultura vera, magnifici retaggi del passato. Non ho quasi mai timore, ma stasera dovrò fare i conti con la tensione».
Mancava ancora del tempo prima di uscire dalle quinte. Momenti durante i quali, in pochi secondi, passa davanti all’attore la commedia intera e appena lui sentirà il rumore del pubblico «sarà davvero meraviglioso. Sei arrivato e ora comincia a divertirti».
Meglio il teatro o la tv? Iniziò il rituale del trucco e “partì” un’altra sigaretta. Sulla televisione Vittorio aveva un’idea precisa: «È uno dei guai della cultura contemporanea». Fine. Nessun ripensamento. Così e basta. Come così «la morte mi mette una fifa boia. È l’unica pensata mal riuscita del Padreterno».
Vittorio Gassman s’incamminò verso il palcoscenico del Rossetti. Si udì il chiacchiericcio composto della platea.
Poi il silenzio. E un boato.
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