Giulio Greci: «A quattro anni scelsi il violino: mi ha portato fino ad Amsterdam»

Quinto all’ultimo concorso Lipizer (secondo italiano mai entrato in classifica), l’artista udinese studia e si esibisce in Olanda: «Qui alla musica classica ci tengono»
Alex Pessotto
Giulio Greci
Giulio Greci

TRIESTE Nella storia del concorso Lipizer soltanto due violinisti del Friuli Venezia Giulia sono riusciti a piazzarsi tra i primi sei: nel 1993 il triestino Emmanuele Baldini ha conquistato il terzo posto, mentre, lo scorso settembre, l’udinese Giulio Greci, nato nel 1998 e da qualche tempo residente ad Amsterdam, si è meritato la quinta posizione. Si tratta certo di un buon risultato dato il prestigio dell’iniziativa goriziana giunta all’edizione numero 42.

Giulio, è soddisfatto del risultato?

Sono contento di essere arrivato in finale e di essermi piazzato quinto. Il Lipizer è un concorso importante a livello internazionale: ha un nome di tutto rispetto.

È contento della sua prova?

La musica non è qualcosa di oggettivo. Nel senso che è difficile aspettarsi un parere unanime da una giuria. Posso dire di aver suonato come so fare.

Perché ha scelto uno strumento difficile come il violino?

Nessuno strumento è facile se lo si vuole suonare bene. Quando ero piccolo, i miei genitori mi hanno portato a un concerto organizzato da una scuola di musica: si potevano ascoltare molti strumenti, uno dopo l’altro. Papà e mamma mi hanno chiesto quale preferissi e io stavo per scegliere l’oboe, ma poi ho deciso per il violino. Ho cominciato a quattro anni. E poi ho continuato.

Ha mai pensato di passare ad un altro strumento?

Sì, negli ultimi tempi, ma ormai faccio il violinista ed è difficile iniziare lo studio di uno strumento a 25 anni. Potrei tentare, ma senza ambizioni particolari. Il violoncello mi piace molto e mi piace anche il pianoforte: lo suona mia sorella. Ma, tra i due, preferisco il violoncello.

Nel tempo libero che musica ascolta?

Classica. Quando facevo le superiori e anche un po’ dopo ascoltavo però molta musica pop, commerciale. Poi ho smesso. Trovavo la classica più interessante, più complessa, meno scontata. Comunque, ascolto anche tanto jazz e mi piace il funky. Dipende dai momenti.

Le è capitato di fare colpo su qualche ragazza suonando il violino?

Non l’ho fatto consapevolmente, ma devo ammettere che è capitato. In fondo, suonare è un modo di comunicare.

Trascorre molte ore sui libri?

Leggevo tanto, ora sono costretto a limitarmi. Perché, quando ho qualche impegno, la lettura diventa totalizzante e finisce per sottrarmi tempo. Dopo il Lipizer, per esempio, ho iniziato un altro libro e non riesco a smettere.

Ha un libro preferito?

Mi piace il genere fantasy. Quindi, dovendo scegliere un libro, “Il nome del vento” di Patrick Rothfuss mi è piaciuto molto.

Al di fuori della musica e della lettura quali sono le sue passioni?

Sono sempre stato affascinato dallo sport. Ho praticato nuoto, basket, calcio e, infine, judo, ma l’ho lasciato per paura di qualche infortunio. Non potrei permettermi di stare qualche mese senza toccare il violino. Per il resto, mi piace andare per musei.

Vivendo ad Amsterdam avrà visitato quello dedicato a Van Gogh.

Non sono ancora riuscito a vederlo, ma ci andrò presto. C’è sempre molta coda per visitarlo, occorre prenotarsi in anticipo.

Da quanto vive nella capitale olandese?

Da due anni.

Perché ha scelto di trasferirsi?

Fino a giugno ho studiato con Il’ja Grubert. Ora, sempre al Conservatorio, sto cominciando un percorso più particolare di musica da camera: ho un duo con un violoncellista. Suono con lui e poi in qualche orchestra. Cerco di cogliere le offerte che mi si presentano.

Come si trova ad Amsterdam?

Molto bene. Ormai la sento la mia città. Al punto che, dopo i due anni al Conservatorio, ho deciso di tornarci. Per i musicisti offre molte occasioni. Per esempio, una fondazione olandese, la Nmf, mi ha prestato un ottimo violino: uno strumento di Jean-Baptiste Vuillaume. È stata un’altra dimostrazione delle possibilità che ci sono in questo Paese. Qui ci tengono davvero alla musica classica.

Fino a quando ha vissuto a Udine?

Fino ai 18 anni, dopo i diplomi al liceo scientifico Copernico e al Conservatorio Tomadini. Poi mi sono trasferito a Lubiana, per quattro anni.

Le manca il Friuli?

Mi mancano i miei genitori, mia sorella e, soprattutto, la mia gatta Nancy. Poi, mi mancano gli amici dell’infanzia, ma qui ad Amsterdam mi sto appunto trovando bene. Altrimenti, avrei potuto stabilirmi nuovamente a Udine dove, però, torno appena posso. In ogni caso, non vedo il mio futuro in Friuli.

In Friuli Venezia Giulia ha trovato buoni insegnanti?

Sicuramente, ho avuto qualche figura di riferimento.

Quanto la musica ha sottratto alle amicizie, ai rapporti sentimentali, ad altre passioni e, in genere, al tempo libero?

Sicuramente, ho fatto sacrifici, ma quella di dedicarmi alla musica è stata una scelta. Certo, qualche sera non sono potuto uscire perché dovevo studiare e le discoteche le frequento pochissimo perché non fanno bene alle orecchie. Insomma, di piccole rinunce ce ne sono state, ma non le interpreto come una grande privazione. E poi la musica mi ha permesso di fare comunque molte amicizie con colleghi che, altrimenti, non avrei potuto conoscere.

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